Tenderness

Tra le produzioni discografiche rilanciate in queste settimane da American Clavé/Enja (distr. Egea) risalta il titolo Tenderness (1993) del prolifico ed eclettico musicista Kip Hanrahan. Un album per chi dedica un ascolto cerebrale alla musica afrolatinoamericana e per chi è attratto dalle contaminazioni con altri generi come world jazz, rock e funky.
Tendernessapprofondisce tutti quei temi che hanno sempre affascinato il percussionista-compositore-poeta Hanrahan: ritmi roventi, arrangiamenti sensuali e testi poetici incastonati in ambientazioni drammatiche. L’album non solo miscela percussioni tropicali e atmosfere jazz con risultati sorprendenti, ma crea un nuovo linguaggio musicale sfruttando a pieno le straordinarie doti dei tanti musicisti che vi partecipano. Nel cd troviamo artisti talentuosi e provenienti da stili diversificati, tra cui Giovanni Hidalgo, Alfredo ‘Chocolate’ Armenteros, Chico Freeman, Milton Cardona, Richie Flores, Ignacio Berroa, Fernando Saunders, Robby Ameen, Andy Gonzalez , Leo Nocentelli, Don Pullen, con una menzione particolare per Sting, il cantante e bassista inglese che con la sua partecipazione dimostra ammirazione per la musica di Kip Hanrahan. Dei brani che vi evidenziamo citiamo solo il numero della traccia perchè i titoli sono lunghi come poesie. Unico esempio per tutti, il brano 3, She Truned So That MAybe a Third Of Her Face Was In This Fuckin Beatiful Alf-Light, che è un contagioso cha chá diluito in una frenetica rumba tra canto soffuso e con un assolo superlativo di quinto incalzato dal basso e dal violino. Nel brano 4 si intreccia un pazzesco dialogo tra ottoni e percussioni; nel 5, percussioni afrocubane a mille disegnano un’intricatissima polirtimia proiettata nell’alveo del jazz moderno su cui poi si innesta il fraseggio martellante del piano, con un basso poderoso e un sax che dialoga da lontano. Magico. Nella track 6, le tumbadoras ritmano un guaguancó per la tromba che dipinge un paesaggio sonoro con echi a metà tra il son e tinte ellingtoniane; un sound, quest’ultimo, molto suggestivo che ritroverete anche nella traccia 14 e sempre dalla tromba di Alfredo Armenteros; n. 7: rock con funky jazz, straordinario; tema n.10: rumba che scivola in danzón contemporaneo e poi un articolato arrangiamento – con violini in stile charanga in bella evidenza – lo traduce a songo, ballabilissimo; stessa rumba nel brano 11, ritmo più marcato, poi una descarga con un solo funambolico di quinto; n.12: dialogo rumbero tra tumbadoras; n.13: il cencerro (campanaccio) scandisce un ritmo bembé che fa da filo conduttore alla jam afro-rock-jazz tra congas, chitarra elettrica e basso, strumenti che sono poi protagonisti assoluti nella traccia 16, jazzrock trascinante venato di percussioni afro su cui Kip canta, o meglio recita versi. In questo album, infatti, il leader è in evidenza anche come cantautore. Insomma, un piccolo capolavoro, difficilmente ripetibile. Unico limite di questo album: note di copertina scarne, prive di dettagli importanti sui musicisti intervenuti alle varie registrazioni. Ciò nonostante, le nostre orecchie ci dicono che siamo di fronte a musica di categoria superiore

GianFranco Grilli

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