«Se mi invitate ad una festa, lasciate prima che osservi come battete le mani: se non avete “latin-groove” allora non si tratta di una vera Fiesta! (QRS)».
Un difetto comune a tanti ballerini latini è avere la pessima abitudine di divincolarsi (con qualche scusa) da inviti a feste in stile “nostrano”, nelle quali sostanzialmente non si prevede di ballare caraibico ma piuttosto musica dance, pop, revival 70/80, house, thecno… Purtroppo è così: anche io sono sempre pigro davanti a questi inviti. Se assapori la raffinatezza dei ritmi latini, tutto il resto comincia a sembrarti minimalista e noioso.
Provate a ricordare quando è stata l’ultima volta che avete partecipato ad una di queste nostre feste «occidentali» (cerimonia al ristorante, discoteca, o lounge-bar) durante la quale si è ballato. In tale goliardica occasione, vi sarà di sicuro capitato, di battere le mani a tempo. Focalizzate adesso i vostri ricordi sul modo con il quale avete usato le mani, nel senso del “tipo” di ritmo espresso. Senza troppi tentativi, riuscirei subito ad indovinare: suppongo che le vostre mani abbiano sostenuto un ritmo semplice, scandito sul tempo 4/4…niente di più.
Quando ero bambino, nel corso di un ricevimento celebrativo di famiglia, accadde che un ospite seduto tra i tavoli (era un percussionista), iniziò ad accompagnare con un cucchiaio ed una scodella di metallo il Samba che in quel momento il Dj stava diffondendo dalle casse. Quell’improvvisazione con oggetti di fortuna mi colpì subito per la evidente, insolita e gradevole complessità: sembrava una pennellata di colore nel bel mezzo del monocromatico battito di mani della massa…
Con il passare degli anni, documentandomi, ho imparato in qualche modo a dare qualche definizione a ciò al quale avevo assistito: le mani degli invitati alla cerimonia portavano un “ritmo” (4 “claps”), quello che invece abbozzava il percussionista (con il cucchiaio e la scodella) era “poliritmo”!
Il mio amore per la cultura, le abitudini ed i costumi latinoamericani mi hanno consentito di scoprire, con stupore ed entusiasmo che se per noi occidentali la poliritmia può sembrare un concetto riservato ai musicisti, per le popolazioni latine invece, richiamare ritmi più articolati è una pratica quasi spontanea, ludica ed intimamente legata alla quotidianità: anche il gesto di accompagnare la musica con le mani, nelle occasioni di festa, non è mai banale come il nostro.
Quando camminavo per le vie delle città cubane, ammiravo il fatto che chiunque (dal bambino all’anziano) era in grado di divertirsi richiamando il ritmo della clave con palmi e dita. Come noto, la clave è la base fondamentale di vari ritmi caraibici, in primis del Son e della Salsa: deriva dalla vasta esperienza poliritmica tradizionale africana (vedi area Subsahariana) nella quale, oltre ai tamburi, figura l’uso della campana africana (un approfondimento su quest’ultima sarebbe lungo, complesso e poco attraente). Ci limitiamo a dire che quest’arte molto antica ha subìto notevoli modifiche nel corso dei secoli fino ad essere esportata nelle Americhe ed i pattens di interpretazione più utilizzati si strutturano su un tempo 12/8 (sostanzialmente 12 colpi distribuiti in 4 terzine su 4 movimenti): proprio la commutazione dei ruoli (muto o attivo) da ogni colpo di queste terzine (dipende dalle variabilità geografiche del continente africano) genera un’intera gamma di possibili combinazioni ottenibili (es. Bembe, Yoruba, Tambù, Soli, Diajaba ecc). Cuba, Portorico ed il Brasile, principalmente, hanno ereditato questa cultura e questi ritmi (molti adattati a 4/4) da oltre un secolo, vengono eseguiti dai cubani e portoricani con la clave (strumento percussivo) o anche semplicemente con le mani, ovunque, nelle forme più tipiche che oggi per convenzione definiamo come Clave di Son, Negra, Africana.
Per continuare a stupirsi al cospetto dell’uso musicale delle mani espresso nei contesti festosi latini ordinari, basta spostarsi anche più vicino, in Spagna, dove la cultura andalusa con il flamenco, considera il battito delle mani (“Palmas”) come un gesto quasi irrinunciabile per dare ritmo (“Compas”) ai ballerini. Anche in questo caso tuttavia, il clapping sorprende per la sua disinvolta-complessità che conta un ampissimo ventaglio di diversi stili, originari di varie, storiche, scuole gitane. Nascono inizialmente come ritmi binari e ternari (2/4, 6/8) sperimentati da antiche radici tradizionali delle civiltà greche, mediorientali, ebraiche, africane e mescolati durante il loro percorso storico verso la Spagna. Si tratta di un percorso determinato, in gran parte, dalla migrazione delle comunità zingare (esperte nell’arte di percuotere mani e piedi, in battere ed in levare). Nel tempo, questi pattens basilari hanno subìto forme di combinazione in sequenza, fino a diventare i più classici schemi in 12/8 che in base ai singoli e precisi movimenti sui quali cadono gli accenti più marcati, costituiscono tipici stili diversi: i cosiddetti “Palos”. Tra i Palos più noti possiamo ricordare quelli a 12 movimenti come: Soleà, Alegrìa, Bulerìa.
Concludo con un breve cenno ad una nuova “disciplina” di percussione del corpo che sta acquistando discreta attenzione nel mondo: è la “Body percussion” (invenzione attribuita allo statunitense Keith Terry) che coinvolge gli allievi nella interpretazione di brani noti, battendo varie zone del corpo (anche braccia, torace, gambe…), eseguendo movimenti ritmici simili ad una vera e propria danza. Questa attività comporterebbe (lo ha di sicuro) benefici psico-fisici. Tuttavia alle iniziative di marketing preferisco le tradizioni più consolidate ma chissà, magari in futuro scriverò una recensione sul Body percussion.
Nel frattempo…Se mi invitate ad una festa, lasciate prima che osservi come battete le mani… (rido)
A cura di Dino Frallicciardi per QueRicoSonido
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