Se in uno dei vostri viaggi a New York vi capita di passare al 254 della West 54th Street tra la 7ª e l’8ª Avenue di Midtown Manhattan, oggi ci trovereste un edificio che contiene un ristorante, una casa discografica, una stazione radiofonica e nel semiterrato anche una discoteca, la Feinstein’s/54 Below. Se però ci passavate 45 anni fa (proprio di recente ricorreva l’anniversario della sua apertura), sareste capitati davanti a quella che è stata la discoteca più famosa ed iconica di tutti i tempi: lo Studio 54. Visto che abbiamo ripercorso l’epoca d’oro della Discomuic, non potevamo chiudere gli Anni 70 senza parlare di quello che è stato il locale simbolo di quell’epoca, con le sue tendenze, i suoi eccessi, i suoi ospiti vip, insomma un microcosmo che ha brillato per soli 33 mesi, ma che ha veramente segnato un’epoca.

Il locale originariamente aprì nel 1927 come teatro dell’opera e si chiamava Gallo Opera House. Nel 1942 la CBS lo trasformò in studio radio-televisivo, chiamandolo Studio 52. L’emittente rimase lì fino al 1976, quando in città imperversava la Discomusic ed i giovani si trovavano a ballare in alcuni club già piuttosto noti (ne abbiamo parlato nella puntata riservata al movimento “Disco Sucks”). L’anno successivo, due giovani imprenditori e compagni universitari, Steve Rubell e Ian Schrager, si fecero prestare settecentomila dollari. Con quella cifra rilevarono lo stabile e lo ristutturarono, mantenendo alcuni dei set teatrali e televisivi lì presenti: “Andammo a spiare tutti gli altri night club di New York per capire cosa funzionava e cosa no” – disse Schrager in un documentario girato qualche anno fa – “Sapevamo che sarebbe stato un incredibile successo o un terribile fallimento”.

L’ASPETTO DELLO STUDIO 54 – Il suo interno aveva una struttura che ricordava molto quella originaria del teatro: una platea ed una galleria. Nella platea era collocata la pista da ballo, una delle più grandi di quell’epoca con i suoi 1800 metri quadrati di ampiezza, in rigoroso parquet. Nella sala erano presenti ben 54 differenti effetti luminosi, creati da luci storboscopiche, neon rotanti, spot colorati che illuminavano pista e pubblico, progettati dallo stesso light designer che 30 anni dopo circa avrebbe curato l’illuminazione del Burj Khalifa a Dubai. Dove c’era il palcoscenico risiedeva la postazione del dee – jay. Sotto la balconata della galleria, invece, si trovava il bar, con il bancone a forma di diamante. Tra le scenografie la più famosa era quella di una falce di luna imboccata da un cucchiaino contenente polvere scintillante, dalla quale nel momento clou di ogni serata appariva “l’uomo sulla luna”, che si calava dall’alto offrendo al pubblico il luccicante contenuto di un cucchiaino d’argento. La zona della balconata era riservata ai divani, ed era raggiungibile attraverso una scala decorata in stile barocco. Sempre in corrispondenza della balconata vi era un privè, una vera e propria stanza chiusa, alla quale potevano accedere solo le persone che Rubell invitava personalmente. Si trattava perlopiù di Vip, ma a volte il titolare permetteva anche ad alcune personi comuni di partecipare a queste vere e proprie feste esclusive: di questa stanza, quasi nessuno ne era a conoscenza! E infine c’era la mitica Rubber Room, ovvero la stanza di gomma, in quanto pareti e pavimento erano interaamente rivestite di gomma: il motivo di questa scelta era di carattere pratico, in quanto erano più facili da pulire gli eccessi di liquidi, corporei e non, che i frequentatori lasciavano al loro interno.
Attenzione! Se volete vedere anche oggi una copia molto fedele all’originale dello Studio 54, lo potete fare recandovi a Las Vegas all’interno dell’MGM Hotel, che ha cercato di ricostruirlo seguendo i dettami degli architetti del 1977, seppur con una maggiore modernità al suo interno, specie per quanto riguarda la tecnologia.

LA FESTA PIU’ GRANDE DEL MONDO – Sicuramente luci, scenografie ed arredamento del locale avranno contribuito al suo successo, ma a renderlo uncio nel suo genere erano l’originalità, la stravaganza, l’edonismo sfrenato e le continue sorprese, tutti elementi che secondo i due proprietari non dovevano mancare per fare in modo che ogni serata fosse ricordata come “The Greatest party in the world”. Lo Studio 54 è stato il primo locale a fare della selezione all’ingresso il suo segno distintivo: a volte ci pensava un avvenente buttafuori, a volte era lo stesso Rubell ad effettuarla: se non eri sufficientemente stravagante, se solo arrivavi vestito come la settimana o addirittura il mese precedente, eri sicuro di restare fuori. La famosa canzone Le Freak degli Chic nacque proprio per colpa della selezione all’ingresso: Bernie Edwards e Nile Rodgers, rispettivamente bassista e chitarrista del gruppo, vennero respinti all’ingresso proprio da Rubell: a nulla servì la loro notorietà, a nulla servì il fatto che fossero nella lista degli invitati alla festa di Grace Jones, a Steve quella sare non piacque il loro look e li cacciò via. Tornati nel loro appartamento Bernie e Nile sfogarono la loro rabbia ubriacandosi e suonando e urlando “Fuck-off, Fuck Studio 54” (tradotto: “affanculo lo Studio 54”): il riff che accompgnava la loro invettiva però fu così potente che decisero di farne un singolo, sostituendo l’insulto in “Freak-out, Le Freak ces’t Chic”. Andy Wharol, un habituè del locale, era solito dire che allo “Studio” ci fosse “Dittatura all’esterno e democrazia all’interno”, perchè poi una volta dentro, tutti gli avventori erano liberi di esprimere il proprio estro, la propria personalità, in un’atmosfera molto accogliente e sfrenatamente libertina: le droghe circolavano alla grande, soprattutto cocaina e quaalude, ogni luogo poi era buono per appartarsi per il sesso occasionale, sia etero che omosessuale, il preferito era la balconata. Persino camerieri e cameriere, scelti per la loro avvenenza e mandati in giro tra tavoli e divanetti in abiti molto succinti, erano presi d’assalto per rapporti sessuali, ai quali difficilmente si negavano. Allo Studio 54 si ballava mascherati, nudi, avvolti nella pellicola trasparente, coperti di paillettes o di piume. I dress-code nati lì dentro hanno dettato legge per tutto ciò che è venuto dopo, a cominciare dagli anni 80. Giornalisti, fotografi e paparazzi non potevano entrare, a meno che fossero precedentemente autorizzati. Le feste a tema erano di casa, tra queste spicca quella del capodanno del 1979: Rubell e Schrager fecero piovere sulle teste dei presenti quattro tonnellate di glitter che non si staccarono dagli abiti e dai capelli degli ospiti se non dopo mesi: “Sembrava di camminare sulla polvere di stelle”, disse anni dopo Schrager. “La gente aveva i glitter fin dentro i calzini, nei sei mesi successivi se entravi nelle case delle celebrità capivi ancora se erano stati allo Studio 54 a Capodanno”. Un’altra delle feste che ancora oggi vengono ricordate è quella del trentaduesimo compleanno di Bianca Jagger, l’allora moglie del frontman dei Rolling Stones, Mick Jagger: la festeggiata si presentò attraversando la pista in sella ad un cavallo bianco!

LA MUSICA ED I DUE DEE-JAYS – Lo Studio 54 aprì i battenti il 26 aprile del 1977. Aprì le danze il brano Devil’s Gun, della band afroamericana C.J. & Co. A metterlo era il dee-jay Richie Kaczor, contattato da Rubell come uno dei due dj-resident del locale. A Kaczor spettavano le serate festive: fu lui a lanciare nelle discoteche newyorchesi quello che divenne uno dei brani simbolo di questo genere: I Will Survive di Gloria Gaynor. “Allo Studio 54 mi piace suonare di tutto e quando, per finta, smetto di suonare, la folla urla impazzita“, disse in un’intervista Kaczor. Le serate dei giorni feriali invece erano affidate ad un altro grande della console, Nicky Siano, tra i pionieri di questa professione ed uno dei primi a fare il mixaggio tra due vinili. la musica che mandavano era quanto di meglio ci fosse sul mercato discografico legato al genere di quel momento, senza trascurare anche le novità che i due disc-jockeys proponevano e rendevano delle hit nel giro di poche sere. Non mancavano anche gli show dal vivo: tra chi ha cantato allo Studio 54 ci sono state Grace Jones, gli Chic, Diana Ross ed Amii Stewart. Ad aver invece lavorato nel locale sono stati, tra gli altri, i due attori Al Corley e Alec Baldwin: il primo come buttafuori (lo ricordiamo anche per il suo singolo del 1985 Square Rooms), il secondo come cameriere.

I VIP – Sin dal giorno della sua apertura, lo “Studio” vide la partecipazione di molte persone del jet-set mondiale, soprattutto provenienti dal mondo dello spettacolo e dell’arte. Partecipare era uno status, significava essere accettati dal mondo che contava e che dettava le regole, per cui, alcuni di essi divennero assidui frequentatori, altri almenouna volta ci avevano messo piede. Ecco una lista piuttosto dettagliata, in rigoroso ordine alfabetico, a comincare dall’ex presidente Usa Donald Trump, che presenziò con sua moglie Ivana alla serata inaugurale. Mondo del cinema: Woody Allen, John Belushi, Sean Connery, Robert De Niro, Michael Douglas, Faye Dunaway, Farrah Fawcett, Richard Gere, , Dustin Hoffman, Liza Minnelli, Olivia Newton-John, Jack Nicholson, Al Pacino, Arnold Schwarzenegger, Sylvester Stallone, Elizabeth Taylor, John Travolta, Robin Williams. Scrittori, artisti e stilisti: Michail Baryšnikov, Truman Capote, Salvador Dalí, Elio Fiorucci, Tom Ford, Diane von Fürstenberg, Tommy Hilfiger, Calvin Klein, Karl Lagerfeld, Rudolf Nureyev, Paloma Picasso, Valentino, Andy Warhol. Musicisti e cantanti: Bee Gees, Leonard Bernstein, David Bowie, James Brown, Cher, Alice Cooper, Marvin Gaye, Debbie Harry, Michael Jackson, Mick Jagger, Elton John, Grace Jones, Tom Jones, Amanda Lear, John Lennon, Madonna, Freddie Mercury, George Michael, Giorgio Moroder, Dolly Parton, Lou Reed, Keith Richards, Frank Sinatra, Rod Stewart, Barbra Streisand, Stevie Wonder. Sportivi: Bjorn Borg, Vitas Gerulaitis, Pelè. Tra gli italiani segnaliamo, oltre ai già citati Fiorucci e Valentino, Loredana Bertè e Marcello Mastroianni. Alcune curiosità legate ai Vip: Rubell fceva entrare gratis Mick Jagger e Keith Richards, mentre faceva pagare l’ingresso agli altri componenti degli Stones. Andy Warhol e Truman Capote erano soliti discutere di arte e letteratura mentre bevevano il loro coktail preferito, lo screwdriver. Michael Jackson ballava in pista sulle note della sua Don’t Stop ‘Til You Get Enough. Elton John si scatenava nelle danze attorniato dalle drag-queen, tra le quali spiccava Divine.
LA CHIUSURA E L’EREDITA’ DELLO STUDIO 54 – Propio nel periodo del suo massimo splendore Rubell, in un’intervista, rilasciò una frase infelice che segnò l’inizio della rapida ed improvvisa fine del locale: “Solo la mafia fa più soldi di noi“. Questo destò l’attenzione del fisco americano, che inizò a fare alcuni accertamenti che portarono alla condanna dei due proprietari. Prima di andare in prigione, però, Rubell e Schraber vollero chiudere lo “Studio” in grande stile, il 4 Febbraio del 1980, con una festa a tema chiamata The End of Modern Day Gomorrah. La festa iniziò sulle note di Don’t Stop ‘Til You Get Enough di Michael Jackson e si concluse sulle note di una canzone che Diana Ross e Liza Minnelli dedicarono ai due proprietari, con un finale moto ad effetto, con le luci che si spegnevano una ad una, ultima quella della mirror-ball. Il club fu venduto nel 1981 agli imprenditori Mark Fleischman e Stanley Tate, che la riaprirono nel Settembre di quello stesso anno, ma non fu più la stessa cosa, sia per la musica che per il tipo di ambiente che ne aveva decretato la fortuna. Nel 1984 subentrarono altri proprietari nel 1986 chiuse definitivamente, per iraprie una dozzina di anni dopo come teatro per i musical. In quei 33 mesi, però, lo Studio 54 mostrò la strada da seguire e tanti aspetti, dalla selezione all’ingresso alle feste a tema, alla partecipazioni dei Vip, sono stati replicati negli anni nei locali di tutto il mondo. Quello che non sono riusciti a ricreare del tutto è l’atmosfera che si respirava in quel periodo: nemmeno il film del 1998, intitolato Studio 54, che ci mostrava le serate del mitico club dal punto di vista di un giovane cameriere che ci lavorava, ci è riuscito, nonostante la convincente interpretazione di Mike Myers nel ruolo di Steve Rubell. Dei due proprietari è rimasto solo Ian Schraber, che dopo l’esperienza dello Studio 54 ha aperto un altro paio di locali con Rubell, per poi diventare uno delgi inventori del concetto dei boutique-hotel. Rubell è morto di AIDS nel 1989: ai suoi funerali parteciparono molti dei Vip che era solito invitare negli anni d’oro del club, tra cui Bianca Jagger e Calvin Klein.
E adesso largo alla musica, con i brani tratti da un paio di compilation dedicate allo Studio 54. Buon ascolto.
A cura di: Mauro Gresolmi
Images & Graphic work by: Francisco Rojos
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