Negli ultimi anni i due dee-jay producers che hanno ottenuto il maggior successo commerciale nel mondo sono di nazionalità francese: Bob Sinclair e David Guetta, infatti rappresentano la punta dell’iceberg di un movimento che può vantare altri elementi di spicco come Kungs, Martin Solveig e Yves Larock (quest’ultimo di nazionalità svizzera, ma artisticamente formatosi ed esploso in Francia). L’eccellenza di questa “scuola francese” non è affatto casuale, ma il frutto di una tradizione ben radicata in fatto di musica dance al di là delle Alpi: la Francia è stata il secondo paese Europeo, dopo la Germania, in cui a metà degli Anni 70 la Discomusic si è diffusa; i suoi esponenti venivano da svariate esperienze musicali precedenti, oppure nascevano proprio sulle ali dell’entusiasmo del nuovo genere, ma, come è avvenuto anche per molti artisti che abbiamo in precedenza conosciuto in questa rubrica, è stato proprio in quegli anni che hanno toccato il vertice della loro carriera, regalandoci successi indimenticabili. A differenza degli States e della Germania, in Francia non ci sono stati né un’etichetta discografica che prevalesse sulle altre, né un produttore di riferimento per tutti i cantanti o i gruppi, e, almeno agli inizi, il suo artista di punta non ha agito da elemento catalizzatore; quello che si è creato Oltralpe è stato un vero e proprio movimento che si è sempre rinnovato negli anni indipendentemente dai sui esponenti (molti dei quali hanno cambiato genere o sono tornati a quello precedente) fino a brillare ai giorni nostri, in cui la Disco si è trasformata in musica Dance, House, Techno e via dicendo. La Disco di matrice francese, poi, è quella che in Europa ha maggiormente risentito degli influssi della musica latina, sia da parte di quegli artisti fedeli alla Disco made in Usa, sia per la presenza di uno dei migliori contaminatori di generi che la Discomusic abbia mai conosciuto, ovvero Jean Marc Cerrone. Accingiamoci dunque al nostro consueto tuffo nel passato, riascoltando canzoni che hanno lasciato un indelebile ricordo sia nella nostra vita, che nella storia di questo genere.
UN PANORAMA ETEROGENEO – In Francia la moda della Disco esplode nel 1976, quasi due anni dopo che ha preso piede in Germania, e proprio dalla Germania si differisce in alcuni aspetti: innanzitutto c’è un numero considerevole di artisti francesi, provenienti dal mondo del pop e della canzone tradizionale, che abbracciano la nuova tendenza, al contrario d quelli tedeschi, che davano il via alla loro carriera proprio all’insegna del nuovo genere. Sono pressoché assenti i cantanti americani, i protagonisti sono tutti del posto, oppure originari dei paesi limitrofi, ma presenti già da anni sulle scene locali; uniche eccezioni d’oltreoceano sono i Gibson Brothers (provenienti dalla Martinica, che è comunque un dipartimento francese d’oltremare) e i tre ballerini che accompagnano Sheila nelle sue esibizioni, i B.Devotion (dove la “B” sta per “Black”), che arrivano dagli States. . Vediamo quindi di conoscere i grandi della Disco “made in France”, facendo una divisione tra quelli che hanno cavalcato l’onda della nuova moda, e quelli che invece l’hanno scelta come loro identità musicale.
LE DONNE AL POTERE: La Disco francese si distingue da quella tedesca sotto tanti aspetti, ma in un punto si somiglia spaventosamente: i suoi primi esponenti di spicco sono tutte donne. I primi brani a scalare le classifiche d’Oltralpe nel 1976, infatti, portano la firma di cantanti o gruppi femminili. Cominciamo dalle Belle Epoque, gruppo che si forma proprio nel 1976 da un’idea della loro leader, la cantante Evelyn Venton (al secolo Evelyne Verrecchia), che negli anni Sessanta con lo pseudonimo di Evy impazzava con il genere “Yéyé”. Aiutata dal fratello produttore Albert Weyman (Albert Verrecchia), ingaggia come coriste Jusy Fortes, proveniente da Capo Verde e l’americana Marcia Briscoe e insieme incidono Black is Black, che fa subito centro, raggiungendo la prima posizione in classifica non solo in Francia, ma anche in Gran Bretagna: la canzone presenta tipiche ritmiche e giri di chitarra provenienti dal funky, con innesti di archi, il tutto impreziosito da alcune sonorità elettroniche, nell’intro e nella parte centrale in cui viene riarrangiato un assolo di percussioni. Anche la loro seconda hit, Miss Broadway, in cui viene esaltata la voce calda e roca della Venton, fa centro in Gran Bretagna e si affaccia anche negli States (dove raggiunge la quindicesima posizione). L’ultimo loro brano di spicco prima dello scioglimento del gruppo e della prosecuzione della carriera solista della loro leader è Bamalama, del 1978, ricordato anche per il fatto che durante la sua esecuzione Evelyn Venton la cantava facendo roteare una catena.
Il 1976 vede irrompere sulle scene anche la fotomodella ed indossatrice Chantal Benoist: il suo compagno nonché produttore Michel Deloir le propone di intraprendere la carriera di cantante e le fa incidere un brano in stile Discomusic con il nome d’arte di Jennifer; grazie al suo fisico mozzafiato e alla sua immagine molto sexy, abilmente sfruttata tanto nella copertina del disco, quanto nei vari passaggi televisivi, il singolo Do it for Me spopola immediatamente in Francia, e l’anno successivo invade le classifiche europee; in Italia Jennifer ottiene il suo momento di gloria nell’estate del 1977, quando viene invitata al Festivalbar e quando Do it for Me vince il Free Show Estate 77. Nel 1978 Adriano Celentano la vuole al suo fianco nel film da lui stesso diretto Geppo il Folle, lei incide qualche altro singolo, senza però bissare il successo del primo, poi sposa l’attore Gerard Lanvin, ritirandosi a vita privata poco tempo dopo.
Può già vantare una brillante carriera nel mondo del pop francese la cantante Sheila (al secolo Anny Chancel), quando cambia completamente look, con shorts pailettati, lunghi stivali e coda di cavallo (ispirando negli anni a venire la Madonna di Confession on a Dancefloor), si circonda di tre ballerini di colore americani e si mette a cantare per la prima volta in inglese un brano Disco; è così che nasce nel 1977 il gruppo Sheila & B.Devotion, portando al successo immediato la hit Love Me Baby, ormai un classico del genere in cui le ritmiche e le melodie in stile Salsoul e Mfsb ben si amalgamano con qualche nuovo effetto elettronico. Presto esce anche il loro album, il cui brano che gli dà il titolo è il rifacimento in chiave disco di un classico del musical, Singing in the Rain, portato inizialmente al successo da Gene Kelly in una memorabile scena dell’omonimo film. Nel 1979 Nile Rodgers, leader del gruppo americano degli Chic, scrive e produce per Sheila quello che sarà il suo più grande successo commerciale in tutto il mondo: Spacer, accompagnato da un video molto accattivante, il brano risente molto dello stile degli Chic, in cui la ritmica funky e la chitarra elettrica la fanno da padroni ed in cui le tastiere sostituiscono gli archi usati nei precedenti successi. Spacer farà anche la fortuna, ventuno anni dopo, del gruppo svedese degli Alcazar, i quali ne prenderanno la base per realizzare Crying at the Discotheque, diventata anch’essa una hit planetaria.
CHI BALLA LA SALSA E CHI AMA L’AMERICA – Nel 1976 i tre fratelli originari dalla Martinica Alex, Chris e Patrick Gibson, formano i Gibson Brothers, prodotti da Daniel Vangarde: il loro stile musicale ricorda molto il Miami Sound per la ritmica e gli Earth Wind & Fire per l’uso dei fiati, di loro ci mettono le tipiche sonorità caraibiche: il loro più grande successo, Cuba, con l’ormai celeberrimo ritornello “Cuba, quiero bailar la Salsa”, uscito nel 1978, è la perfetta sintesi di tutti questi stili.
Notevole anche il percorso artistico di Patrick Juvet: nasce biologicamente ed artisticamente in Svizzera, ma è in Francia che ottiene i suoi maggiori successi nei primi anni 70, ed è proprio qui che conosce l’allora paroliere Jean Michel Jarre, che gli scrive una ventina di canzoni. Nella seconda metà degli anni 70 Juvet si trasferisce negli States ed entra in contatto col mondo della Discomusic newyorchese: conosce Henry Belolo e Jacques Morali (quest’ultimo produttore dei Village Peolple) e dalla loro collaborazione nascono tre album, dai quali vengono tratti due singoli di grande successo: I love America e Lady Night. Entrambi i brani hanno una versione estesa di una dozzina di minuti, sono molto simili stilisticamente, con un sound molto Salsoul e una voce in falsetto ad imitare quella dei Bee Gees. Dopo queste esperienze Juvet ritornerà a cantare in francese negli anni 80, per poi riprendere il discorso con la musica Dance con varie collaborazioni nell’ultimo ventennio.
Tra le più ballate del 1977 c’era anche Black Jack, portata al successo da Baciotti (vero nome Christian Baciotti), un brano che aveva sonorità molto “moroderiane” e che divenne nel tempo la “One hit wonder” di questo artista di cui si sono perse molto presto le tracce.
Music Contamination – France Dance – Martin Circus, Jean Michel Jarre, Patrick Juvet
I GRUPPI E IL CASO ROCKOLLECTION – Tra coloro che sono approdati alla Disco provenendo da altre esperienze musicali c’è il gruppo Martin Circus: formatosi alla fine degli anni 60, questo quartetto ha iniziato all’insegna del rock e del glam rock, per poi passare al pop e nella seconda metà degli Anni 70 alla disco: tra le loro hit appartenenti a quest’ultimo genere segnaliamo Disco Circus, che ha fatto parte della soundtrack di uno dei films del quintetto comico Les Charlots (in Italia li conoscevamo come la serie dei “Cinque Matti…”), Ite Missa Est e Shine Baby Shine.
Un’altra band francese che al pari di Patrick Juvet negli States ha avuto grande successo a fine Anni 70 è stata quella dei Voyage, grazie alla loro disco che aveva tutte le sonorità caratteristiche di quella Made in Usa, per approdare poi nei primi anni 80 alle tendenze più europee. Le loro hit? From East to West, Lady America,, Souvenir, Let’s Fly Away e la mitica Scotch Machine, in cui hanno inserito il suono delle cornamuse in un brano disco.
Il filone elettronico di quell’epoca era dominato da progetti francesi quali Jean Michel Jarre, che con il singlo “Oxygene” ebbe un successo planetario e fu uno di precursori nell’epoca dei Synth. Altro gruppo di musica elettronica che nella seconda metà degli annii 70′ ebbe un successo planetario furono gli Space fondato a Marsiglia nel 1977, con il singolo “Magic Fly” raggiunse la vetta di molte classifiche mondiali.
Un discorso a parte merita Rockollection pubbicato nel 1977 da Laurent Voulzy: è un medley di grandi hit rock degli anni 60/70 che conquistò la vetta delle classifiche dei 45 giri più venduti, e pur non avendo le caratteristiche musicali della discomusic, funzionava tantissimo nelle discoteche! Questo singolo fu prodotto anche in versioni estese che aunmentavano il numero di citazioni a brani famosi, la più lunga durava ben 18 minuti.
IL BRANO DISCO EUROPEO PIÙ VENDUTO DI TUTTI I TEMPI – Prima di darsi alla Disco, il cantautore francese Patrick Hernandez tenta con scarso successo svariate strade nel mondo della musica, suonando in vari gruppi e cercando la collaborazione della svolta. Fa parte anche dei coristi che nel 1974 incidono l’album E tu… con Claudio Baglioni, poi conosce il produttore Jean Van Loo e le cose iniziano a cambiare. Forma un gruppo chiamato P.P.H. (Paris Palace Hotel) e con i suoi membri si reca a Bruxelles per incidere il loro primo album, che però non vedrà mai la sua pubblicazione e quindi il gruppo si scioglie. Tra i quattordici brani registrati ce n’è uno che promette bene, s’intitola Born to Be Alive, dai ritmi piuttosto rockeggianti. Hernandez, scoraggiato, riprende a suonare in vari progetti non suoi, fino a quando Van Loy non lo richiama e gli propone di incidere un album, questa volta da solista. Il brano guida dovrà essere la canzone precedentemente registrata e che era parecchio piaciuta, ma visto che la moda del momento è la Discomusic, la canzone sarà riarrangiata e remixata con queste nuove ritmiche. Il singolo esce nel Novembre del 1978 ed è promozionato da un video in cui Hernandez sfoggia un look da dandy con tanto di bastone da passeggio, che fa parte della sua collezione personale di oltre cento esemplari. La canzone ha un discreto successo, ma è solo qualche mese dopo che fa il botto vero e proprio; il primo paese in cui si aggiudica il disco d’oro è proprio l’Italia, a seguire tutti gli altri. Nel corso degli anni Born to Be Alive conquisterà 52 riconoscimenti dovuti alle vendite nei paesi di tutto il mondo e con 25 milioni di copie vendute, tra singolo, versione remix da 7″ e versione remix da 12″, diventerà il brano Disco prodotto in Europa che avrà venduto più copie nella storia della musica. Detiene inoltre il record, tuttora ineguagliato, di 20 mila copie vendute al giorno per qualche mese.
Come avviene in questi casi, Patrick Hernandez non saprà eguagliarne il successo, nemmeno gli si è avvicinerà, tornando presto nel dimenticatoio per quasi due decenni, ma con un exploit simile il suo futuro economico è garantito: pensate che ancora oggi Born to Be Alive gli frutta dai mille ai millecinquecento euro al giorno di diritti d’autore! Quando poi negli ultimi anni torneranno in auge in tv le trasmissioni basate sul revival e sull’operazione nostalgia, Hernandez sarà ospite d’onore a ciascuna di esse in ogni angolo del globo. Una leggenda metropolitana vuole che Madonna figuri tra le coriste e le ballerine durante la tournee promozionale del brano e dell’album: la verità è che l’allora Louise Ciccone viene contattata e dall’America si presenta a Parigi per il provino, ma poi rifiuterà tale ruolo in attesa di impieghi che daranno maggior risalto alle sue doti e alla sua voglia di protagonismo. Innumerevoli nel corso degli anni saranno i remix e i remake di Born to Be Alive. In Italia la versione più recente è quella che Paolo Kessisoglu canta nella colonna sonora del film Immaturi, trasformandola in una “ballad”, ma la più famosa rimane quella di Elio e le Storie Tese, che ne fa una parodia in chiave biblica col titolo di Born to Be Abramo, nel cui video compare lo stesso Patrick Hernandez, con tanto di bastone da passeggio.
IL GRANDE CONTAMINATORE E LA SUA SVOLTA ELETTRONICA – Figlio di un emigrato italiano, Jean Marc Cerrone comincia giovanissimo a suonare la batteria e a lavorare in famosi locali francesi, nonché nei villaggi turistici del Club Med. A differenza degli artisti fin qui menzionati, lui intraprende fin da subito il suo cammino musicale all’insegna della Discomusic, ed è sicuramente il musicista francese a vantare la carriera più duratura in questo genere. Nel 1976 pubblica in collaborazione con Costadinos il suo album d’esordio, Love in C Minor, che si distingue subito per le sue sonorità e per le sue citazioni erotiche, tanto nelle canzoni, quanto nella copertina. Il suo stile è quello che meglio di tutti fonde la disco tradizionale con le nuove sonorità elettroniche, proprio perché conosce svariati generi musicali e li sa contaminare nel modo migliore. L’anno successivo esce il suo secondo lavoro, Cerrone’s Paradise, che continua il discorso musicale intrapreso nel precedente, con la Disco tradizionale ancora con ruolo dominante e con un gran risalto alle percussioni. Il primo grande successo commerciale arriva con l’album successivo, Supernature, che vende oltre otto milioni di copie in tutto il mondo: Supernature , brano caratterizzato da un sound molto elettronico, e Give me Love, in cui percussioni, sintetizzatori e ritmi funky si fondono meravigliosamente, sono i due singoli che ne vengono tratti. L’anno successivo Cerrone si conferma con il long-playing The Golden Touch. Je Suis Music è uno dei primi singoli Disco di successo cantati in francese, ma vanno ricordati anche Rocket in the Pocket, Look for Love e Music of Life, quest’ultima splendida contaminazione con la musica latina. Dopo un suo viaggio in Usa per promuovere un nuovo album dal titolo Rock Me e dopo aver collaborato con Cher ed i Toto, Cerrone torna a Parigi e pubblica il suo sesto 33 giri, Cerrone VI, in cui dà maggiore spazio alle sonorità elettroniche, poi cavalcherà da protagonista anche gli Anni 80, fondando una sua etichetta, la Crocos e lanciando nuovi talenti, sempre attento alle nuove direzioni che la musica da discoteca prenderà di volta in volta. Le sue performances dal vivo lasciano sempre il segno: tre sono le più memorabili: la prima è un concerto da lui tenuto nella prestigiosa sala parigina dell’Olimpya nel 1978, in cui esegue tutti i suoi successi facendosi accompagnare da 20 tra ballerini e ballerine completamente nudi. La seconda è in occasione dell’uscita dell’album The Collector nel 1988, concepito come un’opera rock: sul palco con lui ci sono gli Yes, gli Earth Wind & Fire e gli Art of Noise, sempre a Parigi, questa volta al Trocadero davanti a centocinquantamila spettatori. Nel 1989 tiene poi un maestoso concerto in Place de la Concorde in occasione del bicentenario della rivoluzione francese: di fronte a lui ci sono seicentomila persone!
IL FENOMENO ROCKETS – Nella seconda metà degli Anni 70 imperversa in Europa una band francese la cui collocazione in un preciso genere musicale risulta assai ardua. C’è chi la loro musica la definisce inizialmente Rock, poi la battezzano Space Rock a causa del look dei loro componenti e dei testi fantascientifici delle loro canzoni; più avanti il gruppo viene associato al al pop elettronico (synth-pop) e anche alla Disco, fatto sta che i Rockets rappresentano un vero e proprio fenomeno di costume ed un gruppo ormai mitico per la generazione di quegli anni. Il loro periodo d’oro va dal 1977 al 1982, la line-up storica è formata dal cantante frontman Christian LeBartz, dal chitarrista Alain Maratrat, dal bassista Gerard L’Her, dal tastierista Fabrice Quagliotti e dal batterista Alain Groetzinger. Il loro produttore che li aiuta a creare il loro aspetto e il loro sound è Claude Lemoine.
Prima che per il discorso musicale i Rockets sono ricordati per il loro look da extraterrestri, con le facce pitturate da una crema argentea e le teste completamente calve, e con costumi in tessuto argenteo e dal design futuristico; sono tra i primi, assieme ai Pink Floyd e ai Genesis,a fare uso dei laser nei loro concerti, nei quali stupiscono il pubblico con effetti visivi, spettacoli pirotecnici, bombe e bazooka spara fiamme. Il loro sound è caratterizzato dall’uso di strumenti elettronici, tra i quali spicca il vocoder (un modulatore di voce, che inizieranno ad utilizzare dal loro secondo album). Il loro primo grande successo commerciale è una cover dei Canned Heat, reinterpretata in chiave spaziale, dal titolo On the Road Again. La canzone ha una ritmica molto ballabile e imperversa nelle discoteche, così come l’altro brano proveniente dallo stesso album, intitolato Space Rock.
Grazie all’interessamento del produttore Maurizio Cànnici, capo della CGD Messaggerie Musicali, i Rockets appaiono molto spesso sulle scene italiane, dove ottengono un consenso strepitoso e dove i loro concerti segnano il tutto esaurito in ogni tappa dei loro tour. Anche dagli album prodotti nei due anni successivi, Plasteroid e Galaxy, vengono tratti alcuni singoli che nelle discoteche vengono ballati quanto i brani di più spiccato genere Disco, come ad esempio Electric Delight, If you Drive e la stessa Galactica.
E per finire, ecco la playlist Spotify con tutti i brani di cui vi abbiamo appena parlato: buon ascolto!
A cura di: Mauro Gresolmi
Images and graphic work by: Francisco Rojos
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