Papo Vázquez: pirata dell’Afro Puerto Rican Jazz

Persona semplice, affabile, disponibile, sensibile, ma anche avventuriera, combattente, un po’ ammiraglio, capitano e allo stesso tempo fuori legge, filibustiere, pirata. E’ così Papo Vázquez, un insieme di queste caratteristiche contraddittorie. Ma sotto sotto Papo è un pirata buono, insolito, con un grande cuore che pulsa di buoni sentimenti e di azioni solidali verso i più deboli. Infatti il suo bottino lo condivide con gli altri, sostiene i bambini, si batte per valorizzare l’identità culturale della sua terra d’origine. I suoi arnesi non sono pugnali e pistole ma trombone, piano, un po’ di percussione e l’arte della composizione che carica sul suo veliero per dominare i Caraibi a suon di musica, salpando da Filadelfia e facendo rotta su Puerto Rico per colorare il jazz con le musiche autoctone boricua. Di cui ci parla in questa intervista telefonica dagli States, che racconta una traversata musicale iniziata trentacinque anni fa tra le inquietudini e la miseria del barrio e cresciuta in compagnia di grandi armatori come Chocolate Armenteros, Willie Colón, Héctor Lavoe, Batacumbele, Fort Apache, Dizzy Gillespie, Ray Charles. Negli ultimi anni ha deciso di ‘saccheggiare’ per conto proprio, fare e suonare solo ciò che gli piace. E pensare alla sua gente.

                     



Cominciamo dalle note biografiche. Non ho trovato il suo luogo di nascita, ma esattamente dove e quando nacque?

Sono nato nel febbraio del 1958 a Filadelfia (Pennsylvania) da genitori portoricani e a cavallo del 1961-‘62 mi accompagnarono a Puerto Rico. Poi ritornammo negli Stati Uniti quando avevo 8-9 anni.


Dove iniziò gli studi musicali? erano di tipo accademico o ……

Qui a Filadelfia. Gli studi furono una miscela tra lezioni classiche e musica della calle. Ho studiato fino al penultimo grado dell’High School, poi nel 1975 mia madre mi prese via dalla scuola perchè volevo andare a New York a suonare.


Proprio nel pieno boom della salsa.
Sì, mio zio, che era chitarrista, quando avevo 14 anni mi aveva chiamato a suonare con un gruppetto locale che apriva le serate dei concerti o di ballo prima dell’esibizione della band ufficiale. E allora, per ricollegarmi al discorso di prima, nel 1975 traslocai a New York dove trovai il mio primo lavoro come musicista, e fu con Alfredo Chocolate Armenteros, poi successivamente suonai con Manny Oquendo y Conjunto Libre, Larry Harlow, Colón, Lavoe, Rubén Blades. Nel corso della carriera con tantissimi altri, tra cui Jerry Gonzalez, Hilton Ruiz, Tito Puente, Dizzy Gillespie, Ray Charles.

Parliamo dell’ultimo album Marooned/Aislado (recensito su Salsa.it). Ci spiega la scelta di questo titolo?
Ha lo stesso significato in inglese e spagnolo: isolato, come una isoletta dei pirati. Perchè semplicemente mi sono sentito come un piccola realtà fuori dal contesto, musicalmente e moralmente, con questo stato d’animo.

Umiliato, discriminato, una vittima nel mondo musicale?
Non proprio vittima, ma come una persona un po’ rifiutata, ignorata, sottovalutata. Ma siccome fin da piccolo mi sono reso conto che la musica è più potente di quello che gli altri possono pensare, sono andato avanti e ora, giunto a cinquant’anni, faccio quello che mi va, suono ciò che voglio. Se piace o no agli altri, francamente mi interessa poco.

Nei suoi lavori gira spesso la parola pirata, le piace e perchè?
Per me pirata ha un significato particolare. Per esempio se una persona povera non sa dove sbatter la testa e non ha altre risorse allora è giustificato che si metta a piratear. Nell’ambito musicale io sono sempre stato come un soldato in fila, un marinaio della truppa. Ero insoddisfatto di ciò che facevo e che ero costretto a suonare e allora sono stato spinto a creare un gruppo tutto mio e vado a conquistare con tutti i rischi.

Nella copertina di ‘Marooned’ si vede che siete in spiaggia pronti a nuove spedizioni. Ma ci sono anche bambini-pirata e tra le varie dediche ce n’è una per il mondo dell’infanzia. Me ne vuole parlare?
Sì, questo si deve al fatto che il produttore esecutivo appoggia progetti a favore dei bambini in cui credo. Di qui l’idea della copertina dove sono fotografato assieme a dei bambini abbigliati da pirata: sono ragazzini del mio quartiere di Filadelfia ma rappresentano tutti i loro coetanei del mondo vittime di abusi sessuali, un dramma che anch’io ho vissuto personalmente da bambino. Un fenomeno che è legato alla povertà, al disagio, a zone pericolose piene di droga, ecc.; una realtà che conosco bene perchè vengo da lì e ora mi impegno a fare qualcosa per cambiarla con la musica, arte che a suo tempo mi ha salvato la vita.

       


Lei ha figli?

No, ma moltissimi nipoti.

Nel libretto c’è una dedica anche a due musicisti.
Sì, a Mario Rivera, sax e multistrumentista dell’orchestra di Tito Puente, e al conguero cubano Carlos Patato Valdés, due grandi artisti che sono scomparsi recentemente.

Da alcuni anni sta lottando per riaffermare la cultura portoricana e mettere il sound boricua nel latin jazz, secondo lei troppo pieno di musica cubana. E’ così?
Certamente. Questo interesse nacque in me negli anni Ottanta quando ero tornato a vivere a Puerto Rico. Fui uno dei fondatori di Batacumbele (gruppo storico di latin fusion- nda) e anche di Fort Apache, insomma gruppi di sperimentazione, e in quei periodi la mia mente si faceva sempre delle domande sulle cose che succedevano. Bene, mi resi conto che la maggior parte del nostro repertorio era afrocubano e non so dire perchè questo avvenisse. Ma mi immagino che la logica fosse semplicemente quella del pesce grande che mangia quello piccolo. Voglio dire anche, per farmi capire, che io sono un fanatico di Mon Rivera e Cortijo y su Combo che furono grandi esponenti di bomba e plena , ma evidentemente loro erano già soddisfatti del successo avuto e non osavano abbastanza oltre. Questa è la mia impressione. Allora, per finire, decisi che da buon portoricano dovevo suonare bomba e plena nei miei progetti, così è stato e questo non esclude che io possa interpretare mambo, bolero e guaracha.

Isla del Encanto Vs Isla Grande. Bomba e plena di Puerto Rico, son e rumba di Cuba si possono confrontare per vedere similitudini oppure…

Non credo, perchè ritmaticamente sono differenti. Certo, se andiamo ad analizzare in profondità la base ritmica di queste forme notiamo le impronte africane (ma non solo – nda), è una tradizione che arrivò sulle coste di Cuba, Santo Domingo, Haiti, Puerto Rico ecc. e ovviamente nel corso del tempo si trasformò. Nella plena e nella bomba nate a Puerto Rico ci sono le radici africane mescolate a quelle spagnole e indigene.

Andiamo sul suo strumento principale. Quali sono i trombonisti che hanno influenzato il suo stile, Juan Tizol, J.J. Johnson o altri?
Bene, io ho 50 anni, e ti dico che non sono stato un fan di Juan Tizol perchè conobbi il suo lavoro musicale molto tardi. Pertanto, ti sono sincero, il mio primo riferimento è stato Willie Colón (ride!), poi Barry Rogers e più avanti, quando affrontai gli studi in modo più profondo, venne il caposcuola dei trombonisti Jay Jay Johnson. Quest’ultimo fu l’artista che per primo mi affascinò con il suo disco ‘J.J. Johnson Blue Trombone’ e dopo quando ne sapevo di più incominciai a capire la magia di John Coltrane. Io sognavo e dicevo che se col trombone fossi riuscito a suonare almeno un po’ alla Coltrane sarebbe stato impressionante. Comunque posso dire che a quella giovane età l’influenza coltraniana mi ha fatto bene perchè considero quella musica l’espressione più alta dell’improvvisazione jazz, insuperabile.

La stessa domanda sul trombonista la feci l’anno scorso a Jimmy Bosch: per lui il suo maestro di riferimento è stato Papo Vázquez. Un bel riconoscimento, non le pare?

Ahhhh… (ride fragorosamente Papo), io e Jimmy siamo cresciuti assieme nell’orchestra di Manny Oquendo y Libre, per me è stato un piacere e un orgoglio. Siamo come fratelli, viviamo nella stessa area metropolitana e in occasione del mio cinquantesimo compleanno c’era anche lui.

                      

Qual è, secondo lei, il trombonista più importante del latin jazz?
Juan Pablo Torres (cubano, scomparso nel 2005), tremendo musicista, anche se il suo stile era più afrocubano. Faccio questa specifica perchè il termine latin jazz è come un ombrello che accoglie un mondo musicale molto vasto e quindi è difficile che uno rappresenti tutto. Io ad esempio la maggior parte di quello che suono è afro puerto rican jazz, un concetto più moderno.


Nell’album ‘Marooned’ c’è quindi questa mescola di jazz con bomba, sicá, yubá, musica autoctona…

Sì, se escludiamo il brano Pa’ Mingus (dedicato a Charles Mingus), che è una composizione di jazz con lievissima sfumatura di funk per bilanciare e arricchire il progetto complessivo.

Può brevemente descriverci qualcosa?
‘Buenos Dias’, è una danza, si tratta di un concetto musicale che ha preso forma a Puerto Rico ma la matrice arrivò nei Caraibi dall’Europa. Ad esempio possiamo dire che danza e danzón sono cugini, però con significative differenze nella strumentazione e anche nello stile. La seconda traccia, ‘Happy to be Here’… è una bomba sicá jazz poi abbiamo un bomba blues con yubá (Blue Ray), che è un ritmo della bomba, poi samba miscelata con bomba sicá jazz (Bomba a la Hermeto)….

….e poi troviamo l’ aguinaldo tipico (Aguinaldo Pa’ Dico y Caneco). Che è diverso da un canto natalizio o…

Dico questo: i miei nonni sono di Barranquitas, nel centro di Puerto Rico, zona jibara, e l’aguinaldo è la musica tipica degli jibaros (contadini), di quei luoghi, delle montagne dell’isola. E’ una forma musicale che è stata influenzata dai trovatori della décima spagnola e si suona con cuatro, chitarra ecc.

Parliamo anche di barriles de bomba, panderetas, cuas…
A questo proposito informo che nelle note di copertina del cd c’è un errore, ovvero all’inizio del brano El Batallon c’è un assolo di tumbadora di Antony Carrillo (è l’unica presenza dello strumento in tutto l’album) ma non è citato correttamente.Barril del bomba: sono due i tamburi barriles, buleador e subidor: il primo ha un suono basso e mantiene un ritmo costante; il secondo, dal suono acuto, si dice che repica, dialoga con il ballerino, cioè il ‘subidor’ è l’equivalente del quinto nella musica cubana. Nel disco usiamo anche panderetas (due tamburelli), güiro, cuas, una sorta di claves della bomba, due legnetti che non vengono battuti assieme ma suonati su un piccolo tamburo o una canna di bambù (qualcosa di simile alla figura della ‘cascara’ nella rumba- nda).

Il suo veliero si dirigerà presto a Puerto Rico? A Cuba c’è mai stato e suona spesso con cubani?
Siamo in trattative per concerti a Puerto Rico. A Cuba andai molti anni fa, credo nel 1980 con la Fania All Stars e nel 1982 con Batacumbele. Qui negli Usa ci sono molti cubani e la settimana scorsa ha suonato con me il bassista Junior Terry (il fratello del sassofonista Yosvany), Horacio ‘El Negro’ Hernandez e altri.

Ha in previsione di salpare verso l’Italia, conosce il grande festival LatinoAmericando di Milano?
No, non sono mai stato. Se mi contattano verrò con piacere portando Los Piratas Trovadores, il gruppo piccolo, o l’orchestra.

Come dire che ha navi, bastimenti e uomini per affrontare venti e correnti di ogni tipo?
Più o meno: ho tre differenti formazioni musicali, oltre anche a un’orchestra sinfonica. In sintesi: Papo Vázquez – Pirates Troubadours è un band di 8 musicisti; The Mighty Pirates Orquesta si presenta con una big band di 20 artisti; queste due orchestre hanno un repertorio di afro puerto rican jazz e latin jazz. Poi ho anche Los Piratas Rynkynkayas, un gruppo di musica tipica ballabile (son, bomba, plena, mambo ecc.) con il quale suono alle feste di strada.

Grazie Maestro, Ammiraglio, Pirata, non so più come chiamarla. Comunque guarderemo la sua nave e le sue belle ‘rapine’ con rispetto.

Gian Franco Grilli

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