La Zurda: viaggiare contromano
La band di Buenos Aires è tornata in Italia per presentare il nuovo album Para Viajar. Parla Emu, leader e cantante.
di Gian Franco Grilli
Il viaggio de La Zurda inizia una decina d’anni fa sui binari del rock dell’ambiente underground di Buenos Aires, ma si può dire che il vero decollo della band avviene sulle ali di Falopero, il brano di hip hop andino che vince nel 2000 il concorso “La Resistencia”, un grande evento musicale con ben 2500 band dell’America Latina e della Spagna. Da quel momento si aprono le porte per l’incisione del primo album eponimo La Zurda, che a sua volta permetterà al gruppo argentino di intraprendere un lungo viaggio per cantare alle platee sudamericane, dal Cile al Messico, e a quelle europee, puntando in particolare sull’Italia, e dove spesso ritornano. Motivi? La loro proposta musicale ha incontrato i favori del pubblico italiano, con il quale si è instaurato un grande feeling artistico e si è rafforzato un rapporto affettivo da tempo sospeso. Infatti, esiste una certa ‘famigliarità’ tra i giovani musicisti argentini e il nostro Paese: i loro bisnonni erano tra quegli italiani che all’inizio del Novecento emigrarono in Sudamerica in cerca di lavoro, e ora colgono tutte le occasioni professionali per conoscere le loro origini.
Da poche settimane è uscito
Para Viajar, il loro secondo album, che è stato presentato al pubblico italiano durante la recentissima tournèe del gruppo nel nostro Paese. Abbiamo approfittato della visita di questi musicisti per farci raccontare la storia della band. Ecco cosa ci ha detto il portavoce Emu (Emanuel Yazurlo), leader, cantante e polistrumentista (charango, chitarre, ronroco, tromba, caja andina, armonica).
Quando e dove nascono le prime idee del vostro progetto?
Io avevo 17 anni e il cammino iniziò poco più di 10 anni fa nel nostro paese natale di Haedo, una località di campagna che dista 30 chilometri dalla capitale Buenos Aires. E in questo ambiente rurale suonammo per la prima volta in pubblico, composto prevalentemente da amici. Adesso vivo nel quartiere Boedo, nella capitale federale, dove si ascolta tango.
Brevemente, puoi descrivermi l’ambiente sociale e culturale dove muove i primi passi La Zurda?
Un quartiere di classe media, piccolo borghese, realtà abbastanza pittoresca con architettura di impronta europea. E un panorama culturale variegato.
Il nome la Zurda, esattamente cosa vuol dire?
Per noi ha diversi significati. Fin da ragazzi abbiamo scelto questo nome perché noi andiamo per altre strade, siamo contromano, controcorrente rispetto al mondo. Ad esempio oggi ci troviamo nell’inverno italiano, l’opposto di quello avviene in Argentina, andiamo contromano. A sinistra, c’è il cuore, il sentimento; ma la politica non c’entra.
Il gruppo è formato da quanti musicisti?
Il nucleo centrale è di tre componenti, che aumenta durante i tour e nelle registrazioni invitando altri musicisti.
I fondatori del gruppo e i partner più stabili provengono da studi musicali accademici?
Alcuni sì, hanno studiato presso conservatori, però la maggior parte della nostra esperienza viene dalla calle, dalla strada. Il viaggio ci arricchisce moltissimo, e da lì nascono le nostre melodie.
Qual era la filosofia che vi ha spinto a formare la band?
Sostanzialmente la condivisione delle nostre diverse influenze. Magari il chitarrista era più sensibile a Carlos Santana, Jimi Hendrix; il batterista un po’ più affascinato dal mondo latino, le percussioni cubane, sampler; io sono più rivolto alla tradizione, suono il charango, el ronroco, che è una chitarra un po’ più grande del charango ma con un timbro diverso, è uno strumento autoctono della nostra regione. E così si è cercato un punto comune.
Hai detto che si chiama ronroco. Ma la cassa armonica di questo cordofono è ricavata dalla corazza dell’armadillo come avviene per il charango?
No, il mio charango e il mio ronroco hanno la cassa di legno. Non mi piace suonare strumenti dove di mezzo c’è la morte di un animale. Per fortuna la sensibilità ecologica ha modificato molto la situazione e certamente in meglio. Anche se quel tipo di tradizione purtroppo esiste, ma va calando.
Come nasce il meltin pop, o la patchanka, de la Zurda?
Ascoltando la musica della nostra tradizione, le radici del folklore, Athaualpa Yupanqui e allo stesso tempo artisti della scena rock argentina o internazionale come Led Zeppelin, Santana o band e percussionisti come Tito Puente. Tutto questo ha condizionato la nostra miscela argentina.
Fito Paez, Carlos Vives, Juanes, Clash, Fabulosos Cadillacs sono artisti a cui vi siete ispirati oppure no?
Si, i nomi che citi sono stati abbastanza importanti per noi. Non direi tanto Fito Paez, perché è un rockero tradizionale, forse aggiungerei i Mano Negra.
Quanto è importante viaggiare per un musicista argentino oggi?
Dico che è fondamentale viaggiare, perchè ti arricchisce culturalmente e ti apre nuove porte musicali. Importante essere sempre attenti per captare le varie situazioni del viaggio e della vita. E dalle conoscenze dei viaggi deriva un po’ il nostro stile musicale. Noi viaggiamo insieme e da questo provengono anche le influenze, ma un po’ viene anche dal destino. Magari il prossimo disco è l’ispirazione di un altro viaggio, ancora diverso.
In attesa di altri viaggi, vuoi parlarci del vostro secondo album ‘Para Viajar’? C’è continuità con il primo cd, La Zurda, oppure il secondo porta delle novità, c’è qualche svolta?
La Zurda ha più ritmo latinoamericano. Si sente la mano di Gustavo Santaolalla, a cui dobbiamo moltissimo. E’ un musicista-produttore importantissimo nel sound latino, tra i suoi artisti c’è anche il colombiano Juanes. Para Viajar, invece è un po’ meno latino del primo, anche se abbiamo mantenuto il minimo equilibrio che serve tra tradizione e modernità sia negli stili che nella strumentazione. Tuttavia, estremizzando direi che Para Viajar è più un mix di rock argentino con sonorità europee. La novità più importante dell’album sta però nel taglio culturale. Ovvero nell’interpretazione dei testi: una sorta di viaggio letterario musicato con strumenti autoctoni.
Se non ricordo male, mi sembra aver ascoltato alcuni testi di denuncia. Ad esempio il brano Despacito canta le due velocità interdipendenti su sviluppo, giustizia, diritti: ritmo veloce dell’Europa (e di tutto l’Occidente) che ha incatenato quello latinoamericano. C’è critica politica oppure ho frainteso?
Si, parliamo un po’ di tutto ciò, con buone maniere, ma non come critica. E’ raccontare fatti storici, non si deve nascondere la realtà. Io accetto e convivo con questa storia, non la critico, però evidenzio situazioni che sappiamo, e la canzone serve per aprire una luce di speranza per migliorare le condizioni di tutti.
Non ti sembra che un po’ più di ritmo afrolatino e afroargentino (quello che generò il tango) darebbero più sabor al vostro sound?
Forse sì. E’ possibile che nel prossimo disco che stiamo preparando e che uscirà nel 2008 possa starci anche questo. Finora ci siamo limitati a creare in base alle esperienze di viaggi fin qui maturate.
Secondo te, in un negozio di dischi sotto quale voce sarebbe giusto collocare o catalogare i vostri due album?
Se ci fosse, direi nel settore ‘multiculturale’, perché La Zurda è un prodotto degenerado, nel senso che non suoniamo un solo genere. Oppure tra ‘musiche del mondo’ o contaminazione musicale come dite da queste parti.
A parte l’Italia, dove si può dire che siete di casa, c’è un paese a cui mirate come traguardo supremo per la vostra carriera?
No, non abbiamo obiettivi o mete particolari. Per noi tutti i luoghi del mondo sono uguali e ogni posto del mondo è importante. Noi stiamo venendo molto in Italia perché c’è una parte della vostra cultura cui ci sentiamo legati. I nostri cognomi Yazurlo, Bruno, Macaluse vengono da qui, le radici italiane sono in noi. Ci interessa allargare le nostre esperienze e conoscere meglio il mondo in generale senza fare piani specifici.
Le tue radici e i tuoi parenti in quale parte dell’Italia risiedono?
Purtroppo non ho mai fatto ricerche. So solo che sono italiane da parte paterna e da lato materno discendo dagli indiani dell’America del Nord.
Quali sono i gruppi o gli artisti italiani che preferisci e quelli che hai conosciuto direttamente?
Mi piacciono i gruppi folk che sperimentano con il rock, quelli che mescolano tarantella con modernità. Tra i preferiti certamente Fabrizio De Andrè e Vinicio Capossela. Abbiamo suonato con Giuliano Palma, conosco la Banda Bardò e ho visto i Negrita quando erano in Argentina a registrare un disco, gruppo interessante che abbiamo rivisto con piacere in questi giorni in uno dei nostri concerti. Una cosa che mi fa piacere è l’aver notato molti gruppi italiani che ascoltano molto le band dell’America Latina, è un fatto importante.
Esistono differenze sostanziali tra i giovani italiani e quelli argentini che assistono ai vostri concerti?
Non captiamo differenze e questo per noi è molto gratificante perché dimostra che il messaggio è giusto. Un po’ ci sorprende ma è bello ricevere le stesse sensazioni positive dal pubblico al di là delle lingue e delle differenze culturali esistenti.
Le vostre canzoni sono interpretate solo in spagnolo o…
Io parlo un po’ anche di quechua, antica lingua sudamericana preesistente alla colonizzazione e qualche canzone la faccio in quechua; qualche cover la interpreto in inglese e ora qualche frase anche in italiano.
Come sai, queste pagine sono rivolte anche al pubblico dei salseri, e allora una domanda è d’obbligo. Nella Buenos Aires di tango e milonga c’è spazio per la salsa? E’ un fenomeno che conosci?
Quella della salsa è una realtà ben presente nel mio Paese. Ma direi che più della salsa oggi va per la maggiore un tipo di cumbia mescolata con hip hop. E poi il reggaeton, popolarissimo in tutta l’America Latina.
Cambiamo registro. Da 1 a 10, l’Argentina quanto ti piace?
Mi piace molto. E pensavo a questo proprio il giorno del nostro volo Argentina-Italia, quando l’aereo si è alzato e mi ha permesso di vedere la bellezza della nostra terra, la vastità del nostro territorio molto sfruttabile. E’ un paese ricco per fare una buona vita, pertanto il mio voto è tra 8 e 9. A parte la situazione politica, che è di tipo ‘mafioso’.
I ragazzi sono vicini o distanti dalla politica?
Molto distanti, quello che credo succeda anche qui. La politica è una cosa per ‘mafie’. Da noi i cittadini si rendono conto delle cose attraverso la tv, manca molto da fare nonostante alcuni lievi miglioramenti intercorsi negli ultimi tempi.
La multiculturalità quanto è presente oggi nelle città argentine?
E’ presente soprattutto a Buenos Aires. E’ un multiculturalismo su più fronti, nella musica, nel teatro, nella pittura, arte in generale e poi teniamo presente che ci sono molto immigrati, di culture diverse dell’America Latina, ma non solo.
Oltre la musica, che è anche la tua professione, quali sono i tuoi interessi, gli hobbies, come trascorri il tempo libero?
Mi piace il calcio e soprattutto amo viaggiare. Io ho una vecchia moto italiana che si chiama Iso (simile alla Vespa), che è quella riprodotta nella copertina del Cd. E quando posso salgo sulla mia Iso e vado in giro.
Ti piace leggere e quali sono i tuoi autori preferiti?
Adesso sto leggendo l’ultimo libro dell’argentino Ernesto Sábato, un autore molto bravo, come trovo interessanti i lavori dell’uruguaiano Eduardo Galeano.
La grosería più utilizzata da te e dai coetanei del tuo barrio?
Puta madre! Che equivale al vostro ‘porca puttana’.
Gian Franco Grilli
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