Papa Mambo

Un cd- edito da Machete Records – senza riserve: un album da sistemare nella più raffinata discoteca di jazz afrolatino, e di jazz puro. Infatti, anche se è radicato nel latin jazz, Papa Mambo di The John Santos Quintet offre dialoghi interessanti tra le espressioni musicali di origini africane rimodellatesi nel Nuovo Mondo. Nell’album sono coagulati molteplici linguaggi: ritmi afrocubani e blues, son e funky jazz, danzón e hard bop, il tutto in bilico tra passato e futuro, e spesso con cambi repentini nel medesimo brano.
Una sapiente mescolanza di ritmi e melodie, di percussioni tradizionali e strumenti classici, di canzoni popolari e canti rituali yoruba, che si apre con la coinvolgente title-track Papa Mambo – come omaggio a Israel López ‘Cachao’, uno dei padri del mambo e uno dei più autorevoli compositori e bassisti cubani – e si conclude sulle note di Para Que Niegas un magico bolero-rumba con i sapori del jazz. In mezzo un mix esplosivo di son tipico, changuì, danzón-cha e salsa/son rivestito di jazz.

Un lavoro che esalta sì principalmente il carattere ardente delle musiche afrolatine, ma che esplora il vasto territorio del jazz, dallo swing all’etno-jazz, dal mainstream al modale. L’album riassume per otto decimi il lungo percorso ‘latino’ del californiano Santos e, anche se in minima parte, il suo meticoloso lavoro di ricerca musicale ad ampio spettro, che ora con professionalità cerca di offrircene una bella sintesi, con l’aiuto di validi partner, in Laneology. Altrimenti non si spiegherebbero alcuni dettagliati affreschi di jazz puro presenti nell’album.

Se volessimo cavillare sull’omogeneità della produzione, potremmo dire che in un paio di occasioni il bandleader non ha saputo, o non ha voluto, far imboccare al gruppo la via New Orleans-Caraibi (in stile Los Hombres Calientes), a cui crede del resto, perdendosi invece nei meandri complessi del jazz afroamericano. Ma tutto sommato ne è valsa la pena, almeno per i jazzofili.
Alla realizzazione dell’album, oltre al quintetto base del conguero-compositore John Santos, formato dall’ottimo flautista John Calloway, dal bassista Saul Sierra, dal pianista Marco Diaz e dallo straordinario e magnetico timbalero camagueyano Orestes Vilató (salito alla ribalta mondiale con i Santana), hanno contribuito numerosi musicisti e voci come ospiti. Tutti ammirevoli nelle interpretazioni, ma, a parte Calloway e Vilatò, tra gli ospiti mi sono sembrati in particolare stato di grazia il trombettista Ray Vega e il vocalist Jerry Medina, folgoranti e con timbriche davvero sorprendenti.

Meritano una segnalazione: il puntuale e robusto tumbao, continuo stimolo per i solisti; il garbato accompagnamento fornito dalle percussioni dirette da Santos, cui va anche il merito di portare con maestria in cattedra, da solista, strumentini ritmici solitamente poco appariscenti come la quijada (mascella d’asino) o la versione meccanica del vibraslap, chequeré, batá; l’intreccio tra questi ultimi strumenti con snare drums ed effetti growl di tromboni di tradizioni neworleansiane in ‘Laneology’; il brano ‘Duermete’, una armoniosa rielaborazione della tipica canción de cuna, la ninna nanna di tradizione ispanocaraibica.
In sintesi, un cd travolgente, un buon connubio tra musica latina, jazz e world music diluito in dieci pezzi per un totale di 61 minuti di ascolto.

Gianfranco Grilli

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