Horacio El Negro: una macchina poliritmica

Horacio El Negro: una macchina poliritmica

Intervista a cura di Gian Franco Grilli

Da Cuba, via Italia, è approdato a New York. E’ il percorso dello straordinario batterista cubano Horacio “El Negro” Hernandez. Da sempre affascinato dal latinrock di Santana e dal jazz, El Negro compone con la batteria – con una clave originalissima – melodie ritmiche combinando rumba, funky, hip hop, blues, jazz e world music. Risultato: un tripudio di ritmi e colori.
Se vi interessa conoscere in sintesi la vita di questo musicista leggete il ‘ritratto’, per saperne di più, leggete l’intervista raccolta in occasione della tournée estiva 2007.

Ritratto.
Figlio d’arte – una famiglia di musicisti dal nonno trombettista al padre pianista/percussionista e primo dj radiofonico di jazz a Cuba – Horacio ‘El Negro’ Hernandez, nato a Cuba nel 1963, ha iniziato con la batteria a 8 anni. In un solo anno ha svolto il programma per diplomarsi in Percussione presso la Scuola Nazionale d’Arte dell’Avana. A 16 anni inizia la professione che sviluppa in modo particolare nei dieci anni di collaborazione con il pianista e compositore Gonzalo Rubalcaba con il quale arriva alla ribalta internazionale. Ma l’irresistibile ascesa de El Negro inizia nel 1995 da New York, con tournée e collaborazioni con artisti di altissimo livello di jazz, funky, rock, tra cui Roy Hargrove, Michael Brecker, McCoy Tyner, John Patitucci, Bill Frisell, Chick Corea, Steve Turre, Jack Bruce, Steve Winwood, Allman Brothers, Alejandro Sanz.

Nell’ambito del latinjazz e della musica latina ha suonato con Michel Camilo, Tito Puente, Carlos Santana, Chucho Valdés, Paquito D’Rivera, Giovanni Hidalgo, Dave Samuels, Eddie Palmieri.
Dal 1990 al 1993 è clandestino in Italia, anni importanti per la sua crescita artistica. Diventa punto di riferimento per il latinjazz di Roma, svolge docenza alla Scuola di percussioni Timba, collabora con numerosi musicisti tra cui Pino Daniele.
Ospite in numerose produzioni discografiche, ha firmato i due album Italuba (omaggio all’amore per Italia) e come co-autore con Robby Ameen il disco Robby and Negro at the Third World War (La timba non es como ayer) con la partecipazione di Ruben Blades. Ha scritto Conversations in Clave, un metodo di batteria edito dalla Warner Bros.

 

        

L’intervista.
Dopo un aperitivo, ecco di fronte a me questo simpatico personaggio per la nostra conversazione scandita da un leggero ritmo prodotto dal tamburellare figure di paradiddles con le bacchette sulle gambe e sulle scarpe durante tutta l’intervista. Quando accenna la ritmica di clave, gli chiedo di regalarci brevissimi esempi sul linguaggio magico dei due cilindretti di legno, le claves, e mi suona la clave di rumba (la sua preferita, perché la rumba abbina spesso 4/4 e 6/8) e la clave di son (più usata nella salsa), ambedue in quattro quarti, una evoluzione della clave di bembé, quella in 6/8 di origini africane. Col tempo necessario ne sarebbe uscita una piccola storia della clave, che mi sarebbe piaciuto affrontare e capire in particolare per la sua originale versione. Infatti, Horacio con genialità e abilità inserisce con tecnica batteristica (campanaccio colpito da un pedale, vicino a quello dell’hit-hat) il pattern ritmico basilare della musica cubana – solitamente ottenuto dalla percussione dei due classici bastoncini – dentro i più svariati ritmi, mescolando così rumba, hip hop, rock, timba e jazz. Un discorso lungo e complesso, e soprattutto un’altra storia. Ecco il racconto.


Puoi fornirci i principali dati anagrafici?

Horacio Hernandez Leal nato il 24 aprile 1963 all’Avana, esattamente a La Vibora, municipio di Santo Suarez, dove ho trascorso la mia infanzia.


Sei figlio d’arte, nel senso di ascendenze musicali in famiglia?

Mio nonno era trombettista e per un periodo collaborò con il Septeto Nacional Ignacio Piñeiro. Poi un giorno gli venne offerto un lavoro governativo e regalò la tromba a Lazaro Hernandez del Septeto. Mio padre ha studiato piano, tromba e percussioni ma soprattutto si dedicò a programmi radiofonici?


Il famoso critico musicale Horacio Hernandez e il pianista-arrangiatore René Hernandez, della band di Machito, sono tuoi parenti?

Horacio, il critico e conduttore radiofonico scomparso circa sei anni fa, era mio padre. Fu il primo dj a curare una trasmissione di jazz a Cuba, presso il canale CMBF, un’emittente prevalente di musica classica ( “Il jazz, la sua storia e i suoi interpreti” in onda tutte le sere dalle 22 alle 22.30 è il nome del programma che Horacio Hernandez ha diretto sino alla fine anni Ottanta- NdA); poi lavorò anche con Radio Progresso. René Hernandez non c’entra con la mia famiglia e invece voglio ricordarti mio zio Papito Hernandez, bassista del Quinteto Cubano de Jazz diretto dal pianista Frank Emilio Flyn. Tra gli Hernandez ci sono molti bassisti, come nella famigliadei Lopez, Cachao y Cachaito.


Hai scelto liberamente di dedicarti alla musica?Raccontaci come avvenne.

Decisi io senza nessuna pressione. Ma c’è da dire che a due anni mio nonno mi dava le prime lezioni di percussione con claves e maracas. Strumenti piccoli compatibili con l’età e le mie manine. Poi via via che crescevo mi avvicinò ai bonghetti e all’età di quattro anni e mezzo mi comprò una batteria per bambini, che distrussi in una settimana, ma non era un vero strumento.


Poi arriva la batteria vera, che per la tradizione cubana non è un classico tra gli strumenti. Studi accademici, da autodidatta e ispirandoti a quali batteristi o percussionisti?


Presi la prima lezione di batteria nel 1971. Ricordo che non fu una esperienza positiva, perché quel maestro (preferisco non citarlo), che doveva essere uno degli insegnanti migliori in giro all’Avana, pretendeva per due ore consecutive di controllare l’impostazione delle mani, i colpi delle bacchette su un pezzo di gomma ecc. ma io ero piccolo e volevo divertimi sullo strumento. E allora lasciai perdere, continuando per i fatti miei per cinque anni. A tredici anni sono entrato all’ENA, Escuela Nacional de Arte de Cuba, ho frequentato per un anno e poi mi hanno cacciato via.


Per quale motivo?

Perché non ero andato a nessuna lezione, partecipavo solo a quelle di musica. Entravo a scuola alle otto del mattino e stavo fino alle otto di sera nell’aula di percussione. E così ho fatto gli studi di quattro anni di percussione in uno solo. Ma sto riferendomi alla percussione classica perché tu dovresti sapere che una tumbadora o i ritmi afro erano proibiti. Per completare la risposta, uno dei batteristi che forse hanno influito sul mio stile è stato Enrique Plà degli Irakere.


Sei cresciuto ascoltando musica nazionale tra Carlos Puebla, Pablo Milanés, Aragón e Van Van oppure altro?

Io ascoltavo di tutto. Come ti dicevo, mio nonno era trombettista di musica tradizionale e di son montuno, mio padre frequentava l’ambiente jazz, mio fratello, più grandicello di me, seguiva il mondo beat-rock. Quindi puoi immaginarti un ambiente familiare sonoro molto variegato.


Quanti anni avevi quando ti sei esibito con il primo gruppo in assoluto? E dimmi se era un conjunto, un complessino rock, una jazzband, il repertorio, insomma cosa succedeva?

Se non ricordo male avevo 12 anni e fu con il gruppo Lex, suonando rock anni Sessanta e Settanta. Poi andai con il gruppo rock più famoso e clandestino dell’Avana, che forse esiste ancora, si chiama Le Anime Vertiginose. Si suonava alle feste private organizzate nei circoli sociali e con lo stesso gruppo ho avuto la fortuna-sfortuna di conoscere il carcere (per quindici giorni) perché il
genere dei Beatles e il rock americano non era gradito da alcuni politici…di lì la mia famiglia ha subito fastidi per via di questo.


Il soprannome “El Negro”, perché sei un sanguemisto con tracce africane nel tuo Dna, nonostante i tuoi lineamenti in apparenza ispanici, o nasce da altre ragioni?

Mia madre era incinta e mio fratello ancora prima che io nascessi voleva darmi il nome del suo migliore amico, Agustín, un ragazzino di colore. Ma una tradizione familiare vuole che il secondogenito maschio porti il nome dei genitori, quindi io ero già destinato a chiamarmi Horacio, come padre, nonno, bisnonno ecc. e così mio fratello mi affibbiò El Negro pensando all’amichetto.


Hai frequentato il mondo della rumba, i gruppi folklorici e quelli di musiche rituali di toques batá, abakuá e appartieni a qualcuna di queste organizzazioni o religioni?

Io non facevo parte di gruppi religiosi, né aderisco alla Santería ecc. ma come musicista venivo invitato alle varie feste, sia rumba, bembé ecc. e mi confrontavo con queste realtà.


Parlami del gruppo Proyecto, la tua prima tournée all’estero con chi e dove?

Appunto con il gruppo di Gonzalito Rubalcaba a un festival in Olanda, credo 1982 o ‘83, per sostituire la band di Arturo Sandoval, che si era ammalato. In quegli anni poi abbiamo viaggiato abbastanza, il tempo in cui tu incontrasti a Firenze Rubalcaba alla Festa de L’Unità, io ero il batterista. Gli anni di Proyecto di Rubalcaba sono stati straordinari e lì c’era il percussionista cubano, Roberto Vizcaino, con il quale c’era un’intesa, eravamo una cosa sola, ci incastravamo a perfezione a forza di suonare tutti i giorni assieme.


Ci racconti quando, come e perché hai lasciato Cuba e il percorso che ti ha portato dove vivi ora?

Fu nel 1990, mi trovavo a suonare in Sicilia e decisi di non rientrare a Cuba e credo che questo cominciò a maturare durante le mie tournée in Unione Sovietica. Da Catania mi sono trasferito a Roma, città che amo e a cui sono riconoscente, ma il mio sogno era New York, la capitale del jazz. Contattai Paquito D’Rivera (amico di mio padre) a New York, che ne parlò anche con Dizzy Gillespie – con il quale avevo suonato in concerti a Cuba – per agevolarmi nei documenti perché io ero clandestino. Le cose si complicarono e riuscii a partire per gli Usa nel 1993; nel frattempo ho collaborato con molti musicisti, italiani e stranieri, ho insegnato alla Scuola di Percussioni Timba di Roma, città dove torno volentieri e porto i miei progetti, ad esempio Italuba.


Poi negli Usa hai potuto coronare alcuni sogni, tra cui incontrare Carlos Santana, con il quale hai inciso brani nell’album “Supernatural”. Cosa ha significato per te?

Fin da piccolo era il mio idolo, e puoi immaginarti l’emozione provata a essere sul palco con lui. E tutto veniva dopo anni di conoscenze acquisite, tra le difficoltà di cui ti parlavo prima verso la musica che arrivava dagli States, sempre grazie a mio padre che non era solo un esperto di jazz.


Clave e il danzón, con quel finissimo disegno ritmico, mi sembrano fari che illuminano e stimolano le improvvisazioni. Che ne pensi?

La clave è il fondamento della nostra musica e bisogna dominarla con studio. Il danzón, ritmo cubano che traduce elementi della musica classica, è stato dimenticato per moltissimi anni fino a che Gonzalo Rubalcaba, grandissimo pianista e conoscitore di tutta la musica cubana, ha fatto un bel lavoro per metterlo dentro la musica moderna e il jazz. Il danzón rappresenta una base straordinaria per improvvisare.

        

La percussione afrocubana la domini tutta, compreso il re, ovvero la tumbadora?
Sono un batterista, professionista con buone conoscenze, non mi considero un percussionista completo su tutta la gamma degli strumenti cubani. Per eccellere con la tumbadora, ma vale per le altre percussioni, bisogna dedicarci una vita, quello che io ho fatto con la batteria studiando moltissimo e vorrei farlo continuamente, tempo permettendo.


Secondo te, chi è nel mondo il miglior conguero?

Senza alcun dubbio Giovanni Hidalgo.


Per restare sulla scena latina. Hai sviluppato una bella collaborazione con Robby Ameen, forse il primo batterista in un gruppo di salsa, suonando con due batterie e assieme con i capiscuola del latinjazz. Me ne parli brevemente?

Sì, Robby è come un fratello, di origine libanese ma con lo spirito da grande ‘latino’. Io credo che a lui vada il principale merito di aver combinato latin e funk, una cosa che risale, forse, a circa una ventina di anni fa suonando con Ruben Blades. Quello era il periodo di Rumba Profonda. Tra noi c’è una bella collaborazione che si è concretizzata con la band El Negro and Robby.


Quella dell’album – che mi è piaciuto – “Robby and Negro at the Third World War (La Timba no es como Ayer)”, dove la salsa è presente con la voce di Blades nel medley Sympathy for Devil/ El Cielo, e con brani di rumba, timba, funky e jazz?

Esattamente, disco prodotto assieme al compositore e produttore Kip Hanrahan.


La tua timba è abbastanza elaborata, ma i gruppi cubani di timba, la salsa e la musica ballabile in genere, ti piacciono?

Io ascolto tutto. Ovviamente mi piace la musica buona, perché ne esiste anche di meno interessante.


Con la comunità musicale cubana di Miami hai contatti?

Quasi per niente, perché secondo me lì non succede nulla. Credo di averci suonato due o tre volte in tutto, il centro della musica è altrove.


Facciamo simbolicamente un salto a Cuba. Secondo te, con l’avvento della Rivoluzione e relativo isolamento del paese, la qualità della musica cubana in generale è migliorata oppure no, e perché un paese abbastanza piccolo esprime così tanti artisti bravi?

La musica è andata avanti certamente, c’è un’ottima scuola. Tanti musicisti bravi? Perché dedicarsi alla musica, o anche allo sport, è una delle possibilità per emergere nella società e una soluzione per una vita un po’ migliore. Anche il musicista peggiore ha opportunità superiori al miglior medico. Quindi…


Senti la mancanza di Cuba, puoi ritornarci senza problemi?

Non soffro di lontananza e ci vado per vedere la mia famiglia.


Ti soddisfa il bilancio di drumming quasi trentennale?

Sì, perché ho fatto un sacco di esperienze da cui ho imparato molto e che mi hanno arricchito e completato sotto molti punti di vista. Non sono ricco economicamente ma non mi lamento.


Com’è, o come vorresti si svolgesse, la giornata di Horacio?

La giornata ideale che sogno per me: svegliarmi senza tanti impegni, un bagno di 15 minuti nel mare, studiare per 5 o 6 ore e poi rituffarmi in acqua. Sarebbe il massimo.


Quali progetti hai in cantiere?

Con questo gruppo, composto da cubani incontrati in Italia, abbiamo due dischi Italuba I e II, e stiamo lavorando a un nuovo progetto che uscirà il prossimo anno.

L’intervista è stata raccolta al Teatro Rossini di Lugo il 10 luglio 2007.
Foto: M.T. Salomoni

Gian Franco Grilli

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