Yosvany Terry, dalla timba al jazz afrolatino
Parla il sassofonista di Camagüey emigrato a New York
A cura di Gian Franco Grilli
Vive nella Grande Mela, ma ogni anno il sax alto Yosvany Terry Cabrera torna a Cuba dalla “Familia Terry”. Collabora con grandi artisti del jazz e del latin jazz, ma all’inizio il debutto sulla scena fu con NG la Banda. Nella primavera 2007 ha partecipato a Bergamo Jazz con il batterista cubano-americano Dafnis Prieto e a Crossroad-jazz in Emilia Romagna- con Eddie Palmieri Afrocaribbean Jazz All Stars. A Imola l’abbiamo avvicinato e qualche settimana fa vi avvevamo anticipato un ‘abstract’ della chiacchierata a ruota libera. Ora vi proponiamo il testo integrale dell’intervista a Yosvany, che ha risposto con spontaneità e trasparenza a tutte le domande, comprese quelle più scomode che solitamente i musicisti cubani dribblano. Ecco cosa ci ha raccontato.
Partiamo dai tuoi dati anagrafici, dal luogo dove sei cresciuto risalendo brevemente alle radici dei tuoi ascendenti
Sono nato nel 1971 a Camaguey, nella parte centrale di Cuba. Si può dire che sono un sanguemisto: giamaicano-haitiano-cubano. Sai è un fittissimo intreccio di storie. Dalla parte del padre (Terry Gonzalez) le origini sono giamaicane e spagnole (Isole Canarie), mio padre è nato a Cuba e mio nonno Simon Terry, nato anche lui a Cuba, parlava perfettamente l’inglese perché i suoi venivano dalla Giamaica. Invece mia madre è di discendenze haitiane.
Una famiglia veramente caraibica. Ma dal punto di vista musicale?
E’ una famiglia di musicisti. Mio padre, Eladio
Terry (soprannominato Don Pancho), suona violino e chequerè, è stato il
fondatore e direttore della Orquesta Maravillas de Florida. Vive con i
miei familiari all’Avana dagli anni Novanta. Attualmente lui lavora
come freelance e registra con molti artisti importanti: Ernán López
Nussa, José Luis Quintana ‘Changuito’, Tata Güines, Chucho Valdés, José
Maria Vitier. Poi ho due fratelli musicisti: un flautista-saxofonista e
l’altro violinista-contrabbassista.. E con il gruppo di famiglia “Los
Terry” abbiamo realizzato il cd From Africa To Camagüey, inciso
a Cuba ma prodotto dall’etichetta Round World Music di San Francisco.
Quindi i tuoi familiari all’Avana, e tu?
Io da circa otto anni risiedo a New York, ma torno ogni anno a Cuba a vedere i miei cari, senza eccessive difficoltà, tranne la burocrazia del visto e la mancanza di voli diretti, ma… Negli Stati Uniti lavoro moltissimo con tanti artisti e ho anche un mio quartetto con il quale ho fatto il disco Metamorfosis.
Quando e come è cominciato il tuo viaggio tra le note?
Ho iniziato giovanissimo gli studi musicali con il percorso classico. Prima alla scuola vocacional de Arte di Camaguey e poi nell’Escuela Nacional de Arte dell’Avana. Lì mi sono diplomato in sassofono ma negli studi era compreso anche il pianoforte. La tradizione della musica popolare, del ritmo e del jazz l’ho appresa da mio padre, suonando con gruppi, ascoltando dischi.
La musica che suoni come si può definire?
Io direi jazz con influenze delle tradizioni musicali di tutta Cuba nelle quali mi identifico di più. Faccio meno riferimento a quelle particolari, a quelle regionali.
Nel senso che la cultura campesina e il folklore afro delle tue origini camagueyane non sono…
Vedi, io fin da piccolo ascoltavo tutto ciò che era musica, tipica e non: charanga, folklorica, campesina, classica cubana. La musica guajira mi piace ma non mi sono dedicato a farla. Invece sono stato più a contatto con musica popolare appresa da mio padre.
Sulla decima, il punto, l’arte dei rimatori…
L’idea della rima, credo che venga dalla Spagna, ma penso che a Cuba il ritmo che applicano alla rima nella decima è africano. Fai caso a ogni frase che recitano: ha una stretta relazione con la clave e il ritmo di origine africana. E’ la combinazione di due realtà, un ibrido. E non solo per il ritmo, ma anche dal punto di vista psicologico il fatto di ordinare la frase con lo spirito di rivalità io penso sia africano. E lo dico perché nella cultura congo c’è questo aspetto della competizione, questa comunicazione che trovi nella rumba.
Certo, ma non vorrei inoltrarmi in questo campo sul quale musicologi e studiosi stanno ancora dibattendo. Invece torniamo sui tuoi passi musicali. Prima di approdare al jazz hai suonato con orchestre di musica ballabile, di timba ecc.?
Dopo il conseguimento del diploma di studi classici di sassofono, ho fatto sei concerti suonando il sax tenore con NG La Banda. Ma con questo strumento ero agli inizi perché avevo studiato con il contralto. Ho suonato con artisti della Nueva Trova, come Santiago Feliú, Silvio Rodríguez, poi con il pianista Ernán Lopez Nussa, e formai il gruppo Columna B, con un concetto musicale avantgarde.
Gli studi musicali classici per il sax si basano su autori cubani come Ignacio Cervantes, Gonzalo Roig, Sanchéz o su autori europei?
La scuola di sassofono classico arriva a Cuba con professori di conservatorio formatisi a Parigi come Miguel Villafruela. Questo è il nucleo dei nostri studi classici. Ma a questo si aggiunge la musica popolare che mi trasmetteva mio padre, io andava alle serate di ballo della sua orchestra che era una charanga, la Maravillas de Florida. L’altra grande del genere era Aragón. Poi andavo ai carnevali. Ti ho fatto questi cenni perché quando studiavo classico io nel dna avevo già i suoni della musica popolare.
La musica cubana non può prescindere dai ritmi afrocubani, ma nei conservatori e nelle accademie questi non entrano. Qual è la tua opinione in merito?
E’ un caso molo curioso e sorprendente. Io penso che attualmente dipenda dalle persone che organizzano i programmi educativi musicali e ritengo che questi signori non conoscano bene la musica e la cultura popolare. Quindi focalizzano principalmente gli studi sulla musica europea e sulle influenze esercitate da questa nella musica classica cubana. Questo è un errore perché il nostro paese è conosciuto non per la musica classica ma per quella popolare. Sembra una specie di complesso di accettazione della cultura popolare.
All’ENA (Scuola Nazionale di Arte dell’Avana) hai fatto studi jazzistici di sax?
No, li ho fatto privatamente, anche se ho avuto la fortuna che nella Scuola c’era un professore che era jazzista e lo vedevo studiare. Si chiamava Alfredo Thompson, ha suonato con Irakere, Habana Ensamble, e con lui ho iniziato a capire l’armonia, il fraseggio jazz ecc. Ma non esiste una cattedra di jazz nell’isola di Cuba.
Per restare in ambito afro, suoni strumenti a percussione?
Sì, suono il chequeré, uno strumento molto usato nella famiglia Terry, e poi altre percussioni.
Hai un sassofonista preferito? E’ cubano o di altro paese?
Vedi, nel mondo del jazz il sax si è sviluppato maggiormente negli Stati Uniti. Il mio paese ha sempre avuto ottimi strumentisti come fonte di ispirazione. Penso a Jose Carlos Acosta, German Velazco, Paquito Rivera e altri. Ma i miei ispiratori vanno da John Coltrane a Wayne Shorter, da Sonny Rollins a Johnny Hodges.
Ma come potevi conoscere il mondo del jazz se le comunicazioni tra gli Usa e Cuba sono interrotte dai primi anni Sessanta?
Sì, è vero tutto ciò, ma a Cuba erano rimasti vecchi Lp che circolavano tra gli appassionati. Inoltre
si studiavano le cassette che duplicavamo da quelle portate dai musicisti cubani di ritorno da tournèe all’estero. E poi tutte le sere ascoltavo trasmissioni radiofoniche dedicate al jazz.
Così si superava la censura e le proibizioni verso le musiche imperialiste. Tutto ciò, si racconta, era responsabile di ‘deviazionismo ideologico’.
No so dirti molto sui primi anni. Ci furono delle incomprensioni politiche, per esempio so che il rock non era ben visto a Cuba, non so se anche il jazz viveva la stessa situazione ma…
Il tuo look, soprattutto le trecce, mi fa pensare alla Giamaica, da cui provengono una parte delle tue radici assieme a quelle haitiane, tracce che ho conosciuto a Baraguà. Non sei mai stato tentato da un progetto più afrocaraibico, ad esempio il reggae?
Riguardo ai capelli, sono una casualità. Fino ad ora non mi sono mai ispirato a questi paesi per le mie composizioni. A Cuba si ascolta la musica giamaicana antica, ancora precedente al reggae e sono sonorità presenti in comunità rurali come quella di Baraguà a cui tu facevi riferimento. E lo stesso vale per la musica haitiana presente nell’ampio territorio, che una volta apparteneva tutto a Camaguey, sia parte di Ciego de Avila e sia di Las Tunas. Questa è la terra della mia famiglia, di suoni giamaicani e haitiani, in particolare di tipo religioso.
Dal punto di vista ritmico, dimmi una caratteristica della cultura haitiana presente a Cuba.
Ad esempio nella musica haitiana abbiamo la cultura gagà, ritmo gagà e il vodù. Soprattutto in passato, durante le emigrazioni l’uomo tendeva a portare con sé il folklore e la musica religiosa, come è successo alle popolazioni provenienti da Haiti e approdate a Cuba.
Allora passiamo alla rumba…
La rumba è musica profana, che nasce per celebrare eventi, come divertimento, come passatempo, ma non associato alla religione. Infatti il linguaggio che si usa è lo spagnolo, mentre per le musiche rituali si dovrebbero usare le altre lingue: yoruba, abakuà, congo.
Ricordaci la lingua proveniente da Haiti e quali strumenti per quella musica rituale.
E’ il creolo, che conoscono i miei genitori, mentre io lo parlo pochissimo. Per gli strumenti: in particolare tamburi sacri, simili nella forma alla tumba (NdA: con pelle inchiodata), poi campane ecc.
Tu però hai preso un indirizzo molto diverso da quelle musiche folkloriche, è così?
Certamente, ma ci sono cose, rituali e cerimonie che ho vissuto fin dalla prima infanzia, sonorità e canti che ti accompagnano per tutta la vita, e prima o poi entrano nel linguaggio di ogni individuo.
A parte Eddie Palmieri con quali altri artisti hai lavorato?
Con Steve Coleman, Roy Hargrove, Dave Douglas ecc. Ad esempio ho appena terminato un tour di tre settimane con il pianista Gonzalo Rubalcaba.
Escludendo Miami, che è la ‘capitale’ dei latinoamericani, qual è la città degli Stati Uniti che preferisci?
Intanto ti dico che Miami non mi piace. Lì ci sono molti latini, ci sono molti musicisti, ma… io ritengo che non vi è cultura, non succede niente di culturalmente interessante.
Cioè, per motivi di pressione psicologica o politici?
Non so bene, ma è una località piena di spiagge e io credo che la cultura della playa, il surf, ecc. è una realtà che ti distrae e ‘porta’ la gente per altre strade, toglie la concentrazione. Tornando invece alla domanda iniziale, le città che mi piacciono veramente sono New York, New Orleans e San Francisco.
Ah, tra queste città anche New Orleans. Ma ci sei stato dopo l’uragano Katrine o prima?
Ci sono stato molti anni prima e anche dopo. Io ho lavorato con il progetto Habana-New Orleans denominato Cubanismo, sono uno dei compositori delle produzioni dirette da Jesús Alemany e suono in tutti i dischi fatti da Cubanismo.
Quindi hai visto i danni lasciati da quella tragedia nella città di Louis Armstrong, cosa ne pensi?
E’ un tema molto complesso e ritengo sia grave che non si stiano occupando, come dovrebbero, di una città che rappresenta un patrimonio di tradizioni importanti per la cultura di quella nazione e non solo. E’ triste vedere che la maggioranza di quelli che hanno subito sono soprattutto i poveri e lo Stato non li protegge.
E i musicisti come se la passano?
Molti si sono trasferiti in altre città, tuttavia a New Orleans la tradizione musicale si mantiene, ma non allo stesso livello di prima. I governanti dicono di voler ripristinare tutto come prima, ma senza il rientro degli artisti non è possibile. Infatti si sa che la cultura la produce la popolazione che vive quel posto, quindi se manca la ‘materia prima’…
Tra i tanti, hai conosciuto anche il cantante di jazz e blues John Boutté, vocalist in Cubanismo e fans della musica latina?
Claaaro! L’ho visto recentemente in occasione di un concerto che ho tenuto proprio a New Orleans.
Stiamo ancora un attimo in Louisiana. Parliamo di Los Hombres Calientes, è un gruppo che conosci?<
No, purtroppo non lo conosco direttamente, ma ho ascoltato alcuni album della band. Pur avendo un buon progetto, da cubano ti dico “que no llega” (non arriva in cima!) – continua Yosvany ridendo – Magari a un nordamericano o ad altri può impressionare, può colpire, ma a me non …
Non discuto il tuo pensiero, ma quel gruppo ricerca e miscela generi e suoni diversi, New Orleans con il Sudamerica. Scusami per questa precisazione. Visto che sei sincero, ti chiedo – tra scherzo e cattiveria – se questo giudizio non pecca di quella presunzione che vede il cubano como mejor en todo…
Nooooo, per niente! Vedi, ci sono italiani che suonano benissimo la musica cubana, il folklore afrocubano, allo stesso livelli dei cubani. Questo per dimostrarti che non vi è superbia.
Hai suonato con musicisti italiani?
Non in progetti specifici, ma ricordo una jamsession dove c’era il sax Stefano Di Battista.
Ci puoi suggerire alcuni locali di New York dove ascoltare latin jazz ?
Di solito io vado a concerti di ogni genere. Però per il jazz: il Jazz Gallery, dove c’è anche musica per giovani; il Newyoricanport cafè (anche latinjazz), e gli storici Birdland, Blue Note, Village Vanguard, Zinc Bar, Smoke.
Nel corso dei tuoi tour internazionali sei riuscito a
vedere le comunità cubane all’estero. Nel nostro paese molti dicono che
lo ‘sport’ del chisme (pettegolezzo) praticato tra i cubani stessi non
favorisce l’unità e il senso del gruppo, tu che ne pensi?
Sì,
ci sono buone realtà a Madrid, a Parigi, a Miami ma questo è un
discorso diverso. Una forte comunità è nel New Jersey, e lì c’è la
Esquina Habanera dove ogni fine settimana c’è rumba e i cubani si danno
appuntamento per far rivivere almeno per un po’ lo spirito caraibico.
Altra realtà cubana molto attiva è in Messico. Parlando del chisme, è
probabile che sia così come dici, ma io penso che il chisme l’abbiamo
ereditato dagli spagnoli.
E’ la prima volta che vieni in Italia? E come ti sembra?
No, sono già venuto altre volte. E’ un paese fantastico, bellissimo. Non pensavo che l’Italia avesse un patrimonio di bellezze così vasto.
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In particolare ti ricordi di qualche posto speciale?
Mi innamorai di Sassari, di Cagliari e della Sardegna. Mi ricordava un poco il Caribe, per il mare, la natura e stavo decidendo di trasferirmi là. Ma poi non l’ho fatto.
Da una Isla grande a una più piccola, ma sempre isola.
Per la verità anche Maiorca mi affascina. Ah, mi ricordo dell’Italia un altro luogo affascinante: Le Cinque Terre. Es maravilloso, precioso, incantevole.
E il futuro di Cuba?
Non so dirti. E’ una situazione molto particolare, ci sono troppe pressioni da più parti. Speriamo in un futuro di nuovi talenti musicali.
Mi associo a questo auspicio e, in un certo senso, evviva l’emigrazione della musica popolare cubana, iniziata negli anni Trenta., per entusiasmare l’anima latina presente nel Pianeta.
La presente intervista è stata raccolta da G.F. Grilli
(responsabile dell’Associazione Caribe / e-mail: asscaribe@libero.it)
Foto: di M.T. Salomoni
Gian Franco Grilli
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