Salsa dura: parla Jimmy Bosch

Salsa dura: parla Jimmy Bosch
Intervista al trombonista del New Jersey
a cura di Gian Franco Grilli

Sono trascorsi molti anni da quando imbracciò per la prima volta lo strumento, ma Jimmy Bosch, trombonista contemporaneo tra i più brillanti del sound latino, è poco più che quarantenne, con portamento molto giovanile, viso allegro e aperto. Tanto aperto e naturale nei rapporti interpersonali che è stato facile avvicinarlo per una intervista, raccolta in maniera del tutto improvvisata e spartana, in occasione della Fiera Latina che si è tenuta in maggio a Pesaro. Solo il tempo di trovare un paio di sedie e un tavolino su cui sistemare registratore e videocamera, e ne è scaturita una lunga chiacchierata utile per fare il punto sulla salsa di oggi e per tirare un primo bilancio dei suoi trentacinque anni di carriera tra le sette note, in gran parte di sabor latino. Ecco cosa ha raccontato ai lettori di Salsa.it, portale che segue da vicino e da tempo il lavoro del simpatico musicista soprannominato el trombόn criollo.


Prendo spunto dal termine criollo (creolo), abbastanza curioso visto che il tuo cognome mi porta fuori dal continente latino. Illustraci le tue radici così da capire le fusioni e le contaminazioni culturali presenti nel Dna del piccolo Jimmy che nasce…

… il 18 ottobre 1959 nel New Jersey. Esattamente in un paesino che si chiama Hoboken, che ha dato i natali a Frank Sinatra e altri artisti importanti, ma questa – dice Jimmy, ridendo – è più che altro una coincidenza. I miei genitori sono nati e cresciuti a Puerto Rico, io ho sangue portoricano ma senza aver fatto ricerche particolari posso dirti che da parte di padre i trisavoli sono tedeschi che andarono in Spagna, poi a Puerto Rico e infine negli Stati Uniti d’America.


La tua famiglia ha tradizioni musicali?

Per completare il discorso di prima, mia madre ha ascendenze spagnole, il cognome è Viera. I miei genitori si conobbero negli Usa, dall’unione sono nati 9 figli, cresciuti in ambiente umile. Vedi, ogni famiglia portoricana è un po’ musicale. Mia madre si dilettava cantando e mio padre era un appassionato di balli; tra i fratelli, io e un altro suonavamo il trombone e altri due la tromba, ma l’unico che ha continuato nella musica sono stato io.


Pertanto, il trombone è stato il tuo primo strumento?

Sì, anche se avevo provato per gioco con la chitarra che avevamo in casa, assieme a campane, maracas e altri strumentini di questo genere. All’età di 11 anni cominciai con il trombone. Tuttavia alle feste di famiglia suono congas e altre percussioni.


Hai fatto studi classici per trombone o…

No, en la calle ovvero la scuola della strada e da autodidatta. Imparai a suonare a orecchio e scoprii molto presto che possedevo l’abilità di imitare i suoni che sentivo nei dischi o le canzoni che mi frullavano per la testa.


Ma che musica ascoltavi a quel tempo?

Salsa, musica latina, rock latino e musica di moda in quegli anni, dai Beatles in avanti, ma ciò che catalizzò la mia attenzione fu la salsa, una passione fortissima che ho rafforzato nel tempo.


Quali erano i trombonisti che ti piacevano di più e a quali ti ispiravi?

Ne esistevano diversi ma io non sapevo molto di quegli artisti, ricordo in particolare Barry Rogers, Leopoldo Pineda (Tipica 73), quelli della Fania, Willie Colόn. Poi Papo Vazquez, uno straordinario strumentista della mia età che suonava con la Libre.


All’inizio degli anni Settanta parte il tuo viaggio musicale: ti ricordi la prima orchestra in assoluto con la quale hai suonato?

Lavoravo con gruppi locali di salsa e merengue, ma, forse, la prima potrebbe essere stata Arcoiris e avevo tredici anni.


Che tipo di formato aveva quell’orchestra e tu che ruolo occupavi?

Era un gruppo normale di merengue. Io improvvisavo, siccome ero bravo nell’inventare all’istante moñas, ossia linee musicali, venivo chiamato oltre che da Arcoiris anche da altre band come La Sonica, Explosion Latina, Orquesta Caliente, formazioni di cui molti non hanno mai sentito parlare. Con loro non registrai dischi. Successivamaente lavorai con Bobby Rodriguez e la Compañia e lì cominciò il vero lavoro salsero. Poi nel 1978 andai con Manny Oquendo y Libre.


Con queste due ultime orchestre si trattava di salsa o latin jazz?

Salsa, salsa. C’è tanta gente che identifica quello che suono con il latin jazz per il fatto che improvviso molto, ma è salsa.


Converrai con me che in molti casi è un confine invisibile e ci sono diverse orchestre che suonano salsajazz.


Beh, è vero ci sono brani jazz che alcuni li trasformano attraverso il ritmo afrocubano o afroportoricano.


Non eri ancora adolescente quando negli Usa e nel mondo intero esplodeva il rock latino di Carlos Santana, ti piacevano quelle sonorità?

Sì, ma la mia passione era ed è per la salsa. Ero talmente connesso con quella musica ballabile, con sensazioni tanto forti che non si possono spiegare. Vivevo l’epoca della salsa gorda, aggressiva e tutte le orchestre del tempo con i vari Willie Colόn, Hector Lavoe, ecc.


Quando hai fondato la tua prima orchestra?

Come solista mi lanciai nel 1996. Prima di quella data ho lavorato e registrato con diversi gruppi. Per molti anni sono stato con Ray Barretto, ho registrato con Israel Cachao Lopez, poi Charanga 76, Orquesta Novedades, Charlie Rodriguez e altri. Nel 1996, appunto, fondai il mio progetto da solista perché ero un po’ frustrato dalla moda della salsa romantica, mentre la salsa gorda era in ribasso da tempo.


Quali furono le ragioni che spodestarono la salsa gorda o dura?

Sono molte le ragioni per cui le cose cambiano, che determinano cambiamenti , ma in gran parte sono di tipo economico. Nel mio caso il ‘fidanzamento’ con la salsa dura non si è mai sciolto e io non sacrifico questa relazione solo perché il vento decide di soffiare in altra direzione. Capisco che nascono altri generi, ci deve essere spazio per tutti , ma io che amo tanto la salsa dura, per questione di soldi non rompo questo compromiso, che è autentico, sincero e perché mi sento responsabile verso il pubblico che mi ha sempre sostenuto.


Ognuno dice la sua sul significato della Salsa. Tito Puente e altri hanno contestato questo termine, la tua opinione in merito qual è?

Oggigiorno, salsa è un termine accettato in tutto il mondo. Parlando del genere musicale, la gente intelligente sa che è una musica ballabile, allegra.


Ritmicamente a quali generi fa riferimento?

E’ una miscela di molte influenze, dove sono presenti le ritmiche afrocubane e portoricane. Ma meglio dire così: la salsa è come un ombrello dove sotto ci stanno mille ritmi, ovviamente esagero ma…


Mi sembra una situazione quasi analoga a quella della rumba anni Quaranta e Cinquanta, mi riferisco ai vari generi suonati da Machito e anche da Xavier Cugat che stavano impropriamente sotto il cartello di rumba per convenienze commerciali. Oggi dentro l’etichetta salsa c’è di tutto e di ogni paese un poco, cosa ne pensi?

Sì, sono molti i ritmi che si identificano nella parola salsa, che è una sintesi di tutto, ma credo che questo termine sia stato sovrautilizzato per rappresentare musica che non ha niente a che vedere con la salsa.


Fermati, tu stai già facendo una distinzione, dici salsa dura…ma l’altra, quella tenera, quale sarebbe tanto per fare nomi?

Io dico salsa dura, per non fare confusione, l’altra è quella non suonata da Jimmy Bosch (gran risata)!


Bel colpo, Jimmy! Presentaci la situazione della salsa dura.

Se parliamo dell’area di New York, oggi i gruppi che registrano sono tornati al formato classico della salsa dura che è quello che la gente vuole.


Il tuo trombone quindi racconta la realtà.

Il trombone riflette la mia passione, quella che sento e che posso trasmettere musicalmente con uno strumento a fiato. Ma prima ci sono le parole che scrivo, testi di contenuto sociale, perché le composizioni sono frutto della mia esperienza di vita, che tento di condividere con il pubblico, di cantare ciò che sento, chi sono. E credo che la gente si identifichi in queste cose reali. Io rispetto il lavoro di altri artisti, ma io preferisco parlare del cancro, della droga, di grandi temi.


Ma qual è il formato strumentale per la salsa dura, ce lo puoi ricordare?

Non ci sono strumenti specifici. Il formato ideale è quello che si presta all’improvvisazione, che consente ai musicisti di esprimersi liberamente. Vedi, se uno ascolta il mio gruppo dal vivo si rende conto che tutto viene ideato al momento e in dieci concerti tutto sarà sempre diverso anche nelle parole. Quindi salsa dura per me è creare musica sempre nuova, in modo autentico ogni volta che suoniamo dal vivo. Se vogliamo tornare agli strumenti: ci sono i classici timbales, conga, bongo, piano, basso, più…. Nel caso della mia orchestra, trovi sax tenore, sax baritono, flauto, tromba, trombone. Ma non è una ricetta per tutti, alcuni usano 2 tromboni, 2 trombe, 2 sax, flauto, ecc. qualsiasi combinazione.


I cubani dicono che non si può fare son montuno senza la tromba…

Io come trombonista posso suonare come un sonero. Ad esempio mi affascina Nelson González, tresero, che ha un gruppo di son montuno e quando lavoriamo assieme nasce tra noi un feeling, con un ritmo marcato dal tres, un piacere indescrivibile. Io mi inserisco in modo espressivo come lo fa una tromba o come un cantante. Quindi, se puede.


Nell’ambito del jazz non hai mai cercato di imitare o studiare trombonisti ideali come Juan Tizol, portoricano, che ha suonato con Duke Ellington o altri miti, come usano fare i ragazzi?

Nella mia carriera da trombonista, che dura da trentacinque anni, non mi sono mai dedicato a studiare in questo senso e non mi hanno mai interessato metodi per sviluppare la tecnica. Mi sono concentrato più ad ascoltare ciò che mi piace, e se imito qualcosa è perché quel suono l’ho incorporato e elaborato nel mio cervello, in modo che possa sgorgare nei miei assoli. Studiare questo o quell’artista non fa per me…

Tu sai leggere a prima vista gli spartiti?

Sì, me la cavo.


Come reagivi all’aggressività, alle dissonanze, a quel modo di giocare duro con i suoni, che uscivano dai tromboni di Josè Rodrigues, poi di Willie Colόn e altri?


Beh, io ritengo che in ogni musica il bel suono è sempre ciò a cui si deve puntare, ma quelle sonorità ‘disarmoniche’ sono legate a un’epoca di grande passione e di espressività. Io ascoltavo quei suoni, a volte mi davano fastidio per un attimo però coglievo quella rabbia, il messaggio sociale e…


Come solista, quanti album hai realizzato?

Sono tre produzioni: Soneando Trombon (1998), Salsa Dura (1999) e El Aviόn De La Salsa (2004), e sto registrando musica che servirà per la quarta produzione. Poi ho realizzato 2 dvd: un concerto dal vivo nel sud della Spagna (Jimmy Bosch Live In Concert) e l’altro è Jimmy Bosch Allstar Band Live In Puerto Rico.


C’è un ritmo che preferisci più degli altri come base per l’improvvisazione?

Mi piacciono tutti, son montuno, cha cha chá, mambo, mozambique, danzόn, bomba e plena di Puerto Rico, ecc. e su ognuno mi innesto.


Nell’isola delle tue origini, ci torni spesso e ti apprezzano?

Sì, ci vado con una certa regolarità. Ad esempio quest’anno ho già in calendario due o tre visite; se mi apprezzano? Credo di sì o almeno – continua sorridendo ¬- l’impressione che ne ricavo è positiva.


E invece nell’Isla grande di Cuba ci sei stato?

Una volta, in occasione del festival avanero Jazz Plaza e facevo parte del gruppo di Steve Turre, suonando jazz e non salsa.

Dei musicisti cubani, che opinione hai?
Riconosco che sono bravi artisti e noto con piacere che i cubani mi adorano e sentono il mio modo di suonare i loro ritmi. In generale per me è importante trasmettere affetto sincero e non solo ai cubani, a tutto il mondo, inclusi gli italiani. Per questo rendo grazie al Todopoderoso, perché altrimenti io avrei suonato solamente in casa mia, senza essere ascoltato da nessuno.


Con colleghi di cultura ispana è più facile comunicare, ma con i brasiliani…?

La musica brasiliana mi affascina e ho avuto la possibilità di suonare e conoscere Josè Rodrigues, il tremendo trombonista che suonò con Eddie Palmieri. Io non conoscevo la sua lingua, ma mi immedesimavo in quello che lui faceva. José aveva la capacità di inventare moñas, linee melodiche al momento, come faccio io. E debbo dirti, non per falsa modestia, che siamo pochi trombonisti con questa dote che permette di elevare la musica a livelli eccitanti, emotivi. E’ una forma d’arte che si è andata un po’ perdendo, ma io mi sto adoperando affinchè le nuove leve si innamorino di questo processo.


Tra i tuoi obiettivi, cosa c’è in vista?

Intanto, mi piace constatare che uno dei miei sogni si sta avverando: la salsa dura ha ripreso a svilupparsi e la gioventù la sta riscoprendo. Poi come salsero lavoro molto non solo a New York ma nel mondo intero; sono stato recentemente in Israele, Spagna, poi andrò in Messico, Puerto Rico, Germania, una tournée europea nel mese di luglio 2007.


Nella tua città ci sono club di salsa o locali dove si balla musica latina?

Vivo nel New Jersey e lì ci sono molti club piccoli, non grandi locali come una volta. Ma piano piano le cose migliorano.


Quanti figli hai, e li stai allenando alla salsa?

Ne ho due, uno di tredici e l’altro di diciotto anni. Musicalmente decideranno loro che fare. Quello più grande adesso vuole apprendere la salsa perché la sua ragazza dice che le piace questa musica e conosce Jimmy Bosch attraverso la radio. Quindi, ora i miei figli sono più attenti alla salsa di papà.


E per concludere con il mio solito rito, la parola che ti piace di più?

Salsa dura!

E la groseria che ti scappa sovente?
Sono vocaboli che non mi appartengono.

Grazie mille per la cortesia e Vamos a gozár! Infatti, dopo qualche ora il trombone di Jimmy ha condiviso la scena con Luisito Rosario, Alex Bello, Croma Latina e altri ospiti del grande concerto presentato da Francisco Rojos e Pepe Bassan al CocoBeach di Montecchio.

Foto: M.T. Salomoni

Gian Franco Grilli

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