Petrona Martinez, carramba “bonito que canta”

La regina del Bullerengue continua a condurre l’umile vita di sempre,
nonostante la nomination al Grammy Latino 2002. Petrona Martinez,
colombiana, considerata la voce afroamericana più originale dell’area caraibica,
ha partecipato all’ultima rassegna di Musica dei Popoli di Firenze dove si è
esibita con il suo gruppo. Prima del concerto l’abbiamo intervistata per Salsa.it

La musica le sgorga dall’anima e si esprime in una voce vibrante, intensa,
contagiosa, come contagioso è il sorriso di Petrona Martinez Villa.
Ambasciatrice dell’universo musicale del Caribe colombiano, è la regina del
bullerengue, una forma di lamento ritmato che ha antiche radici africane e si
basa sul canto responsoriale, ma interpreta anche generi musicali ibridi
presenti nella costa atlantica, come ad esempio la cumbia.

Sono diversi gli scopritori di Petrona, ma Lisette Lemoine è la principale
talentscout di Petrona, e grazie ai francesi arriva il disco che a 58 anni le
apre le frontiere del mondo e la designazione al Grammy nel 2002 come il miglior
disco di folclore. Nessun premio a Los Angeles, ma il mondo l’aveva già
incoronata. Una signora affabile che continua ad essere la Petrona di sempre,
conservando le tradizioni apprese oralmente dalla nonna Orfelina. Nonostante la
notorietà è una donna semplice, abita in una casa di campagna tra galline e
maiali, fiori, yuca e piante medicinali, che raccoglie sabbia dal fiume, ma che
ha le unghie rifinite con il french, dipinte di rosso vivace e stelle bianche. E
la musica è da sempre al centro della sua vita, un timone fondamentale per
affrontare la realtà, una terapia per sciogliere dolori e rimarginare ferite.
Petrona sostiene: “Io sono rinata con la musica, ero sul punto di morire”.
Cioè?
Quando vivevo a Cartagena ero molto paurosa e ansiosa. Ai miei famigliari il
medico aveva detto che soffrivo di cuore, ma io non sapevo nulla. Un giorno mi
chiesi il perché di tanta attenzione verso di me e dissi alla mamma che volevo
cambiare medico perché stavo male. Risultato: uno specialista disse che non
dipendeva dal cuore ma dai miei nervi e cantare mi faceva bene.
Quali erano le occasioni speciali per cui cantava?
Quando ero piccola ascoltavo i canti di mia bisnonna, mia nonna e di un gruppo
di donne che erano le bullerengueras di quel tempo, e da lì… Si cantava alle
feste patronali: il 13 giugno per San Antonio; il 24 giugno per San Juan, il 29
giugno per SS. Pedro y Pablo; il 7 agosto per la festa di San Cayetano.
Facciamo un passo indietro e mi racconti un po’ la sua storia.
Sono nata il 27 gennaio 1939 a San Cayetano, una località a circa un’ora e mezza
da Cartagena de las Indias e mezz’ora da San Jacinto, terra di gaiteros.
Negli anni ‘40 in America Latina e nei Caraibi la scuola era un privilegio.
Vuole parlarmi della sua esperienza ?

Non mi vergogno a dire che non ho frequentato escuelas de banquito (le materne
dell’epoca ed elementari). Io avevo uno zio che nella nostra casa dava lezioni
ad anziani analfabeti e così mi fissavo su quello che facevano questi signori
attorno al tavolo. Ma fu molto più tardi che da sola imparai un po’ a leggere e
a scrivere.
Ha studiato canto o musica?
No, il mio è un canto naturale ereditario. Sono nata con la febbre per la
musica. Mio padre Manuel Salvador Martinez, “Cayetano”, è un compositore e in
casa mia c’è sempre stata musica.
Ma quando e come il vero inizio sulla scena?
A fine ’81, nella casa di Palenquito, stavo lavando i panni nel fiume
accompagnandomi con il canto, quando Marceliano Orozco di Malagana sentì da
lontano il mio bullerengue. Marceliano, dopo aver indagato di chi era la voce,
venne a casa mia e convinse i miei famigliari a portarmi a una festa in piazza
organizzata per i bambini alla vigilia di Natale. Questa fu la prima volta che
cantai in pubblico e lì composi la canzone intitolata “La Guanabana”. Il bello
venne dopo: portati i bambini a dormire, la festa continuò a sorpresa con
un’orchestra di tamburi assoldata con 5 bottiglie di rum; per farmi cantare
bullerengue mi riempivano il bicchiere, complici mio marito e mio figlio:
arrivai al mattino borracha (ubriaca).
E poi ?
Formai un gruppo, cantavo alle feste, registrai un disco, fino a che sono stata
protagonista del documentario Lloro yo, el lamento del bullerengue diretto da
Lizette Lemoine che mi lanciò in Francia e subito incisi per una etichetta
francese.
Riassumendo, quanti dischi fino a oggi?
Il mio primo disco è Petrona Martinez y sus tambores de Malagana del 1989, poi
El folclor vive, El destape del folclor, Mi tambolero, oltre a quello francese
Le bullerengue e Bonito che canta quello della nomination.
Che reazione alla notizia del Grammy latino?
Ero a San Marino e mi dirigevo in Belgio. Ricordo che rimasi indifferente senza
comprendere l’eccitazione del mio manager, Rafael Ramos, perchè non ne conoscevo
l’importanza. Capii dopo, al ritorno in Colombia, quando all’aeroporto c’erano
dei giornalisti con mazzi di fiori. Non andai a Los Angeles perchè non avevo uno
sponsor per le spese, non vinsi il Grammy ma sono stata premiata dalla gente di
tutto il mondo.
Mi parli ora del bullerengue e delle cantadoras?
Mia nonna diceva che il bullerengue è musica di sentimenti e porta messaggi e
così lo concepisco anch’io. Non canto protesta, canto stati d’animo, dolori
della vita, tristezze, ma anche fatti quotidiani. Il bullerengue nasce come
forma femminile, ma oggi intervengono anche gli uomini. Le cantadoras sono le
depositarie dei segreti di questi danze cantate apprese dalla tradizione orale
familiare e talora improvvisano versi sui poliritmi afrocolombiani che danno
sempre una carica di energia e allegria.
Uno stile solo o ci sono varianti?
“C’è il bullerengue sentao: un canto lento, ritmo cadenzato, il coro entra
lentamente. Abbiamo il tambor llamador che fa da cerniera tra voce e tambor
alegre, quello che improvvisa. Il bullerengue chalupa è più rapido e più
frenetico ancora il bullerengue puya”
Il manager-musicista Rafael Ramos presente all’intervista specifica: “Petrona
vede il bullerengue in queste maniere. Altre bullerengueras lo interpretano
diversamente. E a queste forme, ad esempio, si aggiunge il bullerengue palitiao
(della regione di Antioquia) che sostituisce il battimani con tavolette di
legno”.
E per lei cos’è oggi il bullerengue?
E’ una tradizione famigliare che va avanti da ben 5 generazioni. Due figli
cantano e suonano con me anche stasera: Alvaro e Joselina Llerena. Le mie
composizioni sono cantate e ritmate da tamburi: alegre, llamador e tambora
(fatti con legni come banco o ceiba blanco), gaitas (flauti diritti creati con
il fusto di cactus cardòn che si trovano soprattutto nella regione del Guajira),
maraca (di totumo, frutti secchi con semi all’interno) e il battimani.
Ha avuto possibilità di suonare a Cuba e Brasile ?
A Cuba non sono mai andata, ma mi piacerebbe. Invece sono stata a San Salvador
de Bahia e dopo il concerto, un signore mi abbracciò commosso perché nella mia
voce riconosceva quella di sua madre quando cantava.
Carlos Vives parlando di cumbia assegna al Rio Magdalena il ruolo che il
Mississippi ha per il blues. Quindi cumbia come matrice della musica colombiana:
lei che ne pensa?

La cumbia è importante, fa parte del folklore della nostra terra assieme a gayta,
porro palitiao, son o sexteto, vallenato, mapalè, fandango en lengua. E tanti
altri stili tradizionali, ma… di più non so dire.
La piacevola chiacchierata, alla quale ha partecipato anche il direttore
artistico del Flog, il musicologo Leonardo D’Amico, è terminata in modo semplice
e caloroso, come tra amici. Non c’è stato il tempo per capire le derivazioni
esatte dei ritmi e canti, per rintracciare le principali influenze e come si
sono amalgamate. Un campo su cui c’è ancora molto lavoro da fare, soprattutto da
parte degli etnomusicologi.

Ma in attesa di conoscere meglio questo fenomeno ci siamo goduti il concerto che
è seguito presso l’Auditorium Flog di Firenze. Una serata catartica.
La coreografia dello spettacolo è dominata da Petrona, al centro di un ricco set
di percussioni e di costumi sgargianti, che potrebbe confondersi con una regina
africana. Non ama calze e scarpe, appena sopporta le ciabatte e sul palco è
scalza, come richiamo della vita selvaggia africana o india. Sulla scena, lei e
la figlia indossano una coloratissima “pollera”, una gonna larga, mentre gli
uomini portano casacche colorate e il sombrero “vueltiao”, ricavato da foglie di
palma. Gli strumenti impiegati sono rigorossamente naturali, ecologici, senza
nessun aggeggio elettronico o metallico: voce, tamburi di legno, gaita, maracas
e il palmoteo (battimani). E proprio da questa naturalità nasce un mosaico
musicale di canto, ritmo, danza e colori che coinvolge intensamente lo
spettatore. Uno spettacolo autentico diretto dalla voce seducente di Petrona,
grandissima artista e donna che vale la pena di vederla in scena con sus
tambores.
Grazie Petrona, per regalarci emozioni con la tua arte, ma soprattutto per
averci raccontato uno spaccato di vita tanto insolito per un’artista di caratura
internazionale. E per la semplicità e i valori a cui si ispira, merita, da parte
mia, ancora più stima.

"Parte di questa intervista potrete leggerla anche sul numero di Gennaio 2007
del mensile musicale JAM, in tutte le edicole italiane"

Gian Franco Grilli

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