Sul numero 39 di Alias, supplemento de “ Il Manifesto” del 7 ottobre,
si parla dell’ “uomo che sbatteva la salsa. In copertina”, ovvero di Mr. Salsa,
nome d’arte di Izzy Sanabria, considerato uno dei principali animatori del mondo
latino di New York.
Il pezzo cita ovviamente i nomi storici della salsa tra i quali Willie Colón el
Malo, il grande artista che, per mia imperdonabile distrazione, avevo
‘dimenticato’ nel cassetto, nel senso che da fine agosto giaceva lì un pezzo che
avevo buttato giù dopo la breve conferenza stampa che il formidabile trombonista
latino ha concesso al termine del suo bellissimo e appassionato concerto
tenutosi al festival Latinoamericando 2006 di Assago.
Da El Malo del Bronx a Diplomatico della Salsa, in mezzo i valori e i
sentimenti immortali che alimentano la musica di Willie. Questo, in sintesi, per
definire un artista che da oltre 40 anni, in compagnia del suo trombone stridulo
e ‘rivoluzionario’, canta all’anima dei latinos.
William Anthony Colón, anche se è nato a New York (28 aprile 1950) ha
sempre lottato per riscattare i deboli e dare dignità alla cultura degli
ispanici, quella ricevuta dai genitori originari di Porto Rico, terra anche
dell’amico fraterno e di avventura musicale Hector Perez Lavoe, altro
mito della Salsa. Colón e Lavoe, due veri cantastorie ispanici, negli anni ‘70
raccontavano le violenze del barrio, le storie di marginalità, di degrado
e umiliazione, ma anche di sfida alle istituzioni. Willie prima di arrivare alla
salsa targata Fania All Stars, era passato attraverso la quotidianità
dura della calle e facendo diverse esperienze musicali con vari strumenti, si
scoprì trombonista a 15 anni ispirandosi a Barry Rogers della band del
portoricano Mon Rivera.
Al concerto milanese tutti hanno potuto notare che è ancora intatta la capacità
di Colón di conferire equilibrio e la stessa dignità alla musica e alle parole,
un binomio vincente della sua salsa che continua ad affascinare generazioni
diverse. E’ un fatto quest’ultimo che mi sorprende perché tra le migliaia di
persone che osservavo al concerto tanti erano giovanissimi. Ragazzi che non
erano ancora stati concepiti quando, nella povere periferie che circondavano la
capitale del mondo del business, el Malo del Bronx scagliò le sue prime
“pietre” sonore che contribuiranno poi a formare lo zoccolo duro di quel nuovo
linguaggio artistico che parla di orgoglio e di identità dei popoli
latinoamericani. Infatti, nonostante la mancanza del background di esperienza
diretta, quella grande massa giovanile composta principalmente da peruviani,
ecuadoregni, colombiani, venezuelani, dominicani ha cantato per filo e per segno
il repertorio proposto e alcuni giovani reclamavano a gran voce vecchi successi
come “La murga” che non ha cantato, ma tutti sono stati accontentati da “Un gran
varon”. Gente straordinaria nel seguire l’idolo degli idoli della salsa brava e
di quella moderna, artista amato dal pubblico per la nitidezza delle sue
canzoni. Colón tocca le corde sensibili dei latinos che esplodono quando gli
accordi e le ritmiche caraibiche fanno da tappeto alle parole cantate sui
diritti civili, contro il razzismo e i burocrati della guerra. Ma le parole sono
sempre sottolineate da suoni struggenti, provenienti dall’anima blues di Colón,
attraverso l’uso di tromboni dissonanti, ispirati al freejazz, per gridare la
propria indignazione verso le schifezze che tanta gente deve ancora sopportare o
subire. E prendendo spunto da queste sonorità del blues e del jazz e facendo
riferimento all’uragano Katrine gli chiedo se la protesta si fa ancora cantando
e suonando e se la salsa può stare con i tanti fratelli afroamericani che
condividono situazioni simili ai latinos. E prontamente risponde: “E’
vero, hai ragione, sarebbe giusto fare una salsa anche per le vittime di New
Orleans, per tutti i problemi che si sono presentati: una situazione veramente
grave che ha messo in risalto tante cose inacettabili per una società come la
nostra”.
Ma questa consapevolezza sulla realtà non gli impedisce di continuare a cantare
sentimenti, amore e a trasmettere allegria e fiducia per andare avanti.
Dopo il concerto ho sentito commenti circa una prestazione vocale non esaltante.
Tutto vero, credo, se lo si confronta con i grandi vocalist della salsa. Non
vorrei entrare nel merito di questi giudizi, ma le doti musicali come autore,
compositore, arrangiatore e trombonista sono lì sotto gli occhi, o meglio
disponibili per le orecchie, di tutti. Un grande comunicatore che divertendo fa
riflettere e offre sogni e speranze a milioni di persone.
Ho evitato di raccontarvi altre cose dette in conferenza stampa, che forse
avrete già avuto occasione di leggere sulla stampa o portali specializzati. In
estrema sintesi: che siamo tutti latini, terminerà la tournèe mondiale nel 2007,
sta finendo un disco e poi si dedicherà un po’ alla vita privata, per andare a
pescare, fare lunghe passeggiate e scrivere libri. La speranza dei salsofili è
che il trombone non venga definitivamente appeso al chiodo, ma solo appoggiato
sul leggio in attesa di altre pagine musicali, come successe già negli anni ’70.
All’epoca era un ventenne, oggi è un brizzolato cinquantenne, pacato nei toni ma
che punta sempre all’anima della sua gente.
Intanto auguriamo tutto il bene possibile a el Malo, un signore dal cuore
buono che ringraziamo per le emozioni che con la musica ha regalato al mondo
intero. Ora torna con maggior potere nel barrio, per lottare insieme a
tanti ispanici che non amano la clandestinità, quei 12 milioni di latinos che
negli Usa chiedono di esistere.
Gian Franco Grilli –
gianfranco.grilli@tin.it –
asscaribe@libero.it
(Foto di M.T. Salomoni)
Gian Franco Grilli
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