Quando nel 1952 l’allora presidente cubano Fulgencio Batista lo invitò nella “isla grande” accogliendolo con tutti gli onori, il giovane Ernest Anthony Puente era già conosciuto come Tito Puente e le sua canzoni “Abaniquito” e “Ran Kan Kan” successi suonati al Palladium Ballroom, il locale più famoso delle caldi notti latine newyorkesi.
Figlio di genitori portoricani, nacque a New York il 20 aprile 1923 in quello che amava chiamare “El Barrio” ma che per gli abitanti della grande mela era il quartiere latino di Harlem, dove il jazz e la musica afroamericana si fondono con i ritmi latini.
Fin da ragazzino la sua ossessione fu quella di far si che alla musica dei tropici fossero attribuiti gli stessi riconoscimenti a livello internazionale che in quegli anni erano attribuiti al jazz. Nonostante ciò rifiutò sempre l’etichetta di “salsero” regalando alla storia la celebre frase “l’unica salsa che conosco è quella di pomodoro”.
Tappa fondamentale della sua carriera, e probabilmente anche della sua vita, fu l’esperienza con l’orchestra di Machito. Nel decennio a cavallo tra gli anni ’40 e ’50, Tito imparò i segreti del mambo, cha-cha-cha, guajira e del latin jazz, mescolando i ritmi ancestrali del continente nero con la passionalità del flamenco e addolcendo il tutto con la musicalità caraibica.
Tra il 1956 e il 1960, Tito Puente lanciò vari dischi con la casa discografica RCA, confermandosi tra le figure più importanti della musica popolare latinoamericana. Iniziò un periodo floridissimo per l’artista che nel corso della sua carriera ha inciso oltre 100 dischi, anche grazie alla libertà di incisione data dalle case discografiche di allora ancora lontane dalle odierne logiche di mercato. È di questi anni, precisamente del 1962, la famosissima “Oye como va” conosciuta ai più nella versione eseguita da Carlos Santana con il quale Tito suonò in quel Palladium Ballroom di New York dove era iniziata la sua ascesa, consacrando una lunga intesa artistica. Da quel folgorante incontro tra due leggende iniziò un periodo di ritorno a nuova vita della musica latina dopo l’entrata irruente del genere pop sulla scena musicale mondiale.
Grazie a lui i timbales uscirono dalle retrovie delle orchestre per diventare protagonisti della scena. Tito Puente rivoluzionò la maniera di suonare le percussioni, risvegliando i sensi sopiti degli spettatori. Suonando in piedi, e non seduto come si usava all’epoca, Tito non operò solo un cambiamento scenico ma aprì la porta a un nuovo stile, traducendo la maggiore libertà di movimento in maggiore libertà di espressione ritmica e trasformando l’eccezione in regola da seguire.
Nel 1979, soprattutto grazie al successo di “Mambo Diablos”, ricevette il primo dei suoi quattro Grammy Awards. Irrefrenabile come tutti i grandi artisti, Tito apparì nello spettacolo “Bill Cosby Show”, nel libro “America’s Who’s Who” e nel film “The Mambo King”. Dal 1990 una stella col suo nome brilla nella Walk of Fame di Hollywood. Nel 1996 suonò durante la chiusura dei giochi olimpici di Atlanta.
Il 30 maggio 2000 all’età di 77 anni Tito Puente, orami per tutti “El Rey del Timbal”, consegnò definitivamente il suo nome alla leggenda, per sempre alimentata dai suoi immortali capolavori.
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