In viaggio tra le musiche, AFROMUSIC

Riprendiamo il nostro itinerario dalla sosta nordafricana. La settimana scorsa infatti abbiamo viaggiato tra le sonorità dell’arabic groove ed ora per inoltrarci nel cuore dell’Africa Nera ricorriamo all’aiuto di Omar Sosa, il pianista e compositore cubano che nelle sue ultime produzioni ha riunito tracce musicali provenienti da diverse culture africane: dalla senegalese alla mozambicana, dalla guineana alla maliana, fino a quella degli Gnawa del Marocco. E una parte delle ricerche di Omar sono presentate nei due album seguenti pubblicati da Ota Records e distribuiti da Egea: “Afreecanos”, già recensito su queste pagine e “Sentir”, una bella ristampa dove potrete apprezzare uno straordinario omaggio al guembri, strumento musicale tipico dei Gnawa.

Miscela potente e contagiosa è quella offerta da Putumayo World Music attraverso “Congo to Cuba”, compilation di dirompente vitalità con un sound travolgente e appiccicoso che non ti molla per un secondo. E’ ritmo cubano con l’aggiunta di forti aromi africani cosparsi da numerosi artisti africani tra cui Laba Sosseh, del Gambia, la congolese Thsala Muana e Mama Sissoko e Mama Keita della Guinea.

Sempre con l’etichetta Putumayo è stata pubblicato “African Party”, un importante lavoro che merita di essere segnalato sia per i contenuti musicali, sia per un’altra ragione nobile: questo disco celebra il 15° anniversario di Putumayo, la società che Dan Storper decise di fondare a seguito di un’esperienza musicale travolgente fatta nel Parco di Golden Gate. Lì nel 1991 suonava il gruppo africano Kotoja e Storper ricorda così il momento:”vidi persone di tutte le età e di tutti i tipi ballare alla musica di questo gruppo entusiasmante. La commozione fu tanta che mi impegnai per condividere con altre persone suoni gioiosi esistenti nel mondo e fondai l’azienda”. Tra le dieci tracce di “African Party” oltre a quelle di Kotoja (Nigeria) e Oliver Mtukudzi (Zimbabwe), incontriamo Chiwoniso, anch’egli dallo Zimbabwe; poi la talentuosa guineana Maciré Sylla che canta ‘Perenperen’in lingua soussoou; la rumba soukous “Samba Samba” interpretata dal chitarrista congolese BoPol Mansiamina, e, in chiusura, l’angolano Bonga che condivide il brano ‘Mulemba Xangola’ con due star brasiliane come Carlinhos Brown e Marisa Monte.


Putumayo Kids è il settore di musiche internazionali rivolte ai bambini. L’ultima proposta è “African Dreamland”, una raccolta di magnifiche canzoni africane per far sognare, ninnenanne che piacciono anche agli adulti, interpretate dai migliori cantanti e musicisti, da Ladysmith Black Mambazo a Teté Alhinho, da Habib Koité a Toumajni Diabaté, che si accompagnano con strumenti tradizionali come kora, mbira e balafon. Un percorso affascinante di melodie per scoprire il cuore e l’anima dell’Africa e fare collegamenti con spiritual e altri canti sparsi nel pianeta di origini africane.
E le origini africane le vuole difendere e valorizzare anche “Afriki”, l’interessante album registrato in Mali, Belgio e Vermont (lo Stato nordamericano dove c’è la sede dell’etichetta Cumbancha) dal chitarrista Habib Koité con la sua band Bamada. Discendente di nobili trovatori africani, i griots, Habib rivolge con questo disco un invito alle nuove generazioni a rispettare le proprie tradizioni e a riconoscere gli aspetti positivi della vita e della cultura africana. Undici tracce che ancora una volta testimoniano la ricchezza linguistica di questo musicista che unisce canto africano con esperienze sonore di altri continenti.

Tutto al femminile il lavoro “Think Global: Women of Africa”, una compilation della World Music Network (distr. Egea) che vuole rendere omaggio ad alcune grandi voci di questa parte del mondo troppo spesso dimenticata o considerata come luogo senza futuro. Interessante album dove spiccano le diverse e variegate manifestazioni culturali espresse dalle donne di questo sterminato continente: dalla spiritualità di Oumou Sangare alle sonorità coinvolgenti di Sally Nyolo, dalla voce di una figura leggendaria come Miriam Makeba alla traccia ‘Hanfarkaan’ tratta da “Jidka”, straordinario album d’esordio della cantante italo-africana Saba.

Un’altra straordinaria artista è Bako Dagnon, considerata in Mali una biblioteca vivente, una delle principali depositarie della cultura griot del suo paese. E’ stata una delle maggiori protagoniste nell’Ensamble Instrumental du Mali (gruppo folklorico tra i più rappresentativi dell’Africa occidentale), un punto di riferimento per molti artisti: fino a poco prima di morire Ali Farka Touré consultava Bako per comprendere meglio il significato delle antiche canzoni.

Con “Titati”(Discograph- distr. Self), il suo primo album entrato sul mercato internazionale, Bako Dagnon ricostruisce l’atmosfera intima della musica maliana tradizionale, quella suonata nelle case. In rappresentanza dei numerosi musicisti intervenuti segnaliamo il chitarrista Mama Sissoko.

Proseguiamo il tour e arriviamo in Africa Centrale con “Brazza”, il progetto che si muove attorno alla batteria di Emile Biayenda, leader e fondatore del gruppo congolese “Les Tambours de Brazza”, formazione musicale contemporanea, che unisce batteria jazz, percussioni tradizionali e strumenti elettrici. Questo mix di tradizione e modernità, di ritmi africani e basi occidentali, è la chiave del loro successo. “Brazza”, cd più dvd, (Marabi- distr. Egea) riunisce quattordici tracce esplosive: nel dvd si possono inoltre apprezzare gli estratti di tre concerti della band (in Namibia nel 1997, in Belgio nel 2000, in Francia nel 2002) e numerosi extra come workshop, jam session e un’intervista al capo Biayenda.

Ora ci dirigiamo verso il Corno d’Africa per andare a conoscere la musica etiopica attraverso i due album dell’etichetta Felmay (distr. Egea): Alèmayèhu Eshèté, Ethiopiques 22 e Orchestra Ethiopia, Ethiopiques 23.
Alèmayèhu Eshèté è una delle grandi voci del periodo d’oro della musica etiope, gli swinganti anni Sessanta che andarono avanti ad Addis Abeba fino al 1974, anno della morte dell’Imperatore Haile Selassie I. Il cantante, protagonista di Ethiopiques 22, che si fa ricordare per i suoi scatenati brani rockeggianti come per le ballate spezzacuori, è soprannominato il James Brown di Etiopia o l’Elvis d’Abissinia.

Orchestra Ethiopia è la band che riuscì a ridare legittimità e a preservare il sound tradizionale di questo Paese, che gli anni Sessanta avevano relegato in secondo piano. Infatti tra il colpo di stato del dicembre 1960 e la rivoluzione del 1974 l’Etiopia stava – all’insaputa del mondo – vedendo la fine di un lunghissimo impero e un’esplosione musicale senza precedenti. Quel mondo sonoro è raccolto in Ethiopiques 23.

                                  

E torniamo nella grande regione occidentale africana per ascoltare il rap targato Africa presentato in “Fangafrika” (Mondomix- distr. Egea). Si tratta di un bel progetto che comprende un cd con i più grandi successi degli ultimi anni, un documentario in dvd di 58 minuti e un libro illustrato di 96 pagine. Il lavoro mette in risalto un linguaggio che ha mosso i primi passi in Senegal vent’anni fa e gradualmente ha preso piede in paesi come il Congo, il Camerun, il Niger o il Burkina Faso, grazie all’energia delle parole cantate e urlate. Un’ottima produzione di rap africano, parole ritmate per denunciare i soprusi subiti da un’intera generazione che vuole cambiare le cose.

In Senegal troviamo anche la tribù Géej che ha dominato la regione del Kajoor per gran parte del diciottesimo secolo, resistendo ai colonizzatori francesi e diffondendo una cultura impregnata da religione islamica e credenze locali. E queste radici storiche continuano a segnare l’approccio filosofico alla musica dell’artista contemporaneo senegalese El Hadj N’Diaye che ha pubblicato recentemente il suo terzo album: “Géej” (Marabi – distr. Egea). I testi parlano degli annosi problemi dell’Africa: povertà, tensioni sociali, debito verso i paesi industrializzati o la strage degli emigranti che cercano di raggiungere il loro sogno occidentale. L’artista canta questi temi con una rabbia sussurrata, un’indignazione feroce, ma pacata., sostenuto dalle sonorità ancestrali della kora che si intrecciano con quelle moderne prodotte da strumenti occidentali. Anche qui siamo in presenza di musica che veicola la denuncia contro lo sfruttamento e le ingiustizie in Africa.
Infine, una capatina tra il sound della Costa d’Avorio. Grazie a Brahima Dembelé, proveniente da quella terra, e ai sodali Paolo Casu e Ettore Bonafé – la triade su cui poggia il progetto artistico del gruppo Fuentes – scopriamo musiche allegre, ritmate, ballabili. Sono state raccolte dall’etichetta italiana Materiali Sonori nel progetto “Irikelé”. I numerosi e ottimi musicisti intervenuti nella produzione ci regalano undici tracce ricche di ritmo e di sonorità inusitate, un sound che nasce dall’incrocio di culture ed esperienze musicali diversificate, ma tutte nel solco della tradizione percussiva e melodica africane. Il risultato è veramente interessante e pieno di energia.

                                

E questa lunga navigazione tra le radici della musica nera non poteva che approdare a Capo Verde, per scoprire una parte del ricco patrimonio musicale di queste isole che distano circa 300 miglia dalle coste del Senegal. E come tourleader musicale abbiamo scelto l’esperto Jacob Edgar che ha curato la bella compilation Cape Verde pubblicata da Putumayo World Music. Dodici brani che ci permettono di viaggiare dentro le forme musicali e coreutiche capoverdiane più importanti attraverso le voci e i musicisti più noti di queste isole. E tra gli artisti troviamo, ovviamente, Cesaria Evora, la regina del canto capoverdiano, grande interprete della morna, il blues di Capo Verde che ha assunto una dimensione internazionale grazie alla voce di Cesaria. In questa raccolta l’artista di Mindelo canta “Cabo Verde Manda Mantenha”, che non è morna ma coladeira, altro ritmo capoverdiano che risente di numerose influenze stilistiche: dalla morna al fado, dal samba ad un mix di sound caraibico. In questa tavolozza incontrerete i colori meticci della musica nazionale attraverso artisti come la citata Cesaria, poi Bana, Dulce Matias, Djurumani ed altri che interpretano ritmi di morna, coladeira, funanà e danse incrociati a sonorità di altri continenti. Sonorità che probabilmente incontreremo nuovamente e forse con nuovo abito al di là dell’Atlantico nelle prossime tappe del nostro viaggio.

Termina qui la nostra quarta avventura, ma prima di salutarci e darvi appuntamento alla prossima settimana vi ricordiamo alcuni volumi per conoscere aspetti delle musiche africane. Il primo è il monumentale lavoro della musicologa-musicista Eileen Southern, La Musica dei Neri Americani. Dai canti degli schiavi ai Public Enemy (Il Saggiatore, Milano ). L’autrice comincia dalla cultura ancestrale dell’Africa, osservando musica, danza e strumenti di quel continente, poi si addentra nell’età coloniale e via via ci accompagna verso l’obiettivo finale: le musiche afroamericane.
L’etnomusicologo Gerhard Kubik è l’autore dell’affascinante saggio L’Africa e il Blues (Fogli Volanti, Subiaco), testo imprescindibile per ogni studioso o appassionato di musiche di origine nera. Ma la vera curiosità per i cultori di ritmi latini è nel capitolo “una strana assenza”, pagine dedicate ai time-line pattern, una struttura ritmica che gli schiavi africani portarono con sé a Cuba e in altri paesi caraibici, in Brasile, ma non negli Usa. Perchè? Lo apprenderete nel testo.
Fela Kuti – Lotta continua (Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, Viterbo), è il ritratto biografico, tra storia e canzoni, dedicato al nigeriano Fela Anikulapo Kuti (1938-1997): Yoruba, anticoloniasta, politico, ribelle, trasgressivo, ma soprattutto uno dei compositori e polistrumentisti più famosi della musica africana moderna, e da molti considerato il ‘re’ o l’inventore dell’Afrobeat. E per sapere tutto, ma proprio tutto, sull’afrobeat o afromusic vi segnalo la ‘bibbia della musica africana’ dal titolo “Africa, O-Ye!” di Graeme Ewens pubblicato nel lontano 1993 da Calderini. Provate a cercarlo nelle librerie remainders o presso l’Associazione Caribe, email:asscaribe@libero.it.
Buon ascolto e buona lettura.

Gian Franco Grilli

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